Da Chiesa del Gesù a S.Maria in Trastevere


Isola Tiberina

L'Isola Tiberina  è un'isola fluviale nonché l'unica isola urbana del Tevere, nel centro di Roma. E' collegata alle due rive del Tevere dal ponte Cestio e dal Ponte Fabricio (inter duos pontes).

La leggenda vuole che l'isola si sia formata nel 510 a.C. dai covoni del grano mietuto a Campo Marzio, di proprietà del re Tarquinio il Superbo, gettati nel Tevere al momento della rivolta che ne causò la cacciata. Alcuni studi moderni, però, proverebbero che l'isola ha origini molto anteriori all'evento. Poco coinvolta nelle vicissitudini della città, per questa ragione ospitò il tempio di Esculapio, dio della medicina, il cui culto fu introdotto nel 292 a.C. in seguito ad una pestilenza.

 

Nella prima metà del I secolo a.C. venne monumentalizzata in opera quadrata, parallelamente alla costruzione dei ponti Fabricio e Cestio, e del Vicus Censorius che li collegava al suo interno, dando all'isola la forma di una nave (di cui oggi è ancora visibile la prua), con blocchi di travertino che rivestono l'interno in peperino, e alcune decorazioni raffiguranti Esculapio con il suo serpente e una testa di toro, forse utile per gli ormeggi.

 

Sopra le rovine del tempio di Esculapio l'imperatore Ottone III volle costruire nel X secolo una chiesa che attualmente è dedicata a san Bartolomeo.

Qui si trova anche l'ospedale Fatebenefratelli.


La colonna al centro della piazza fu denominata “la colonna infame” perché qui veniva affissa una tabella (l’uso durò fin dopo il 1870) nella quale erano indicati i “banditi che nel giorno di Pasqua non partecipavano alla messa eucaristica”.



Santa Maria in Trastevere


La Basilica di S. Maria in Trastevere, che sorge sulla omonima piazza, fu probabilmente il primo luogo ufficiale di culto cristiano edificato a Roma e sicuramente il primo dedicato al culto della Vergine. Secondo la leggenda la chiesa fu eretta da S. Giulio I nel 340 sull’oratorio fondato da papa Callisto I nel III secolo, quando il Cristianesimo non si era ancora diffuso, tanto che la chiesa fu chiamata “titulus Calixti” fino al VI secolo, quando poi fu dedicata a Maria. Un fatto antico e mistico la contraddistingue dalle altre chiese: S.Maria sorge sul luogo dove, nel 38 a.C., dal terreno fuoriuscì uno zampillo di olio minerale, la divina “fons olei“, poiché i cristiani vi videro il segno premonitore della venuta di Cristo, l’Unto del Signore (il punto dove sgorgò è ancora indicato su un gradino del presbiterio). La chiesa fu ricostruita quasi completamente da Innocenzo II nel XII secolo, in gran parte con i travertini ed i marmi provenienti dalle Terme di Caracalla. Nel 1702 papa Clemente XI incaricò Carlo Fontana della costruzione del portico esterno, costituito da cinque arcate inquadrate da due paraste e quattro colonne di granito, al di sopra delle quali una balaustra sorregge le statue di 4 pontefici: “S. Callisto”, “S. Cornelio”, “S. Giulio” e “S. Calepodio”. Nel portico, fino alla fine dell’800, si potevano vedere, a lato del “Crocifisso” del Cavallini, coltelli e spiedi (un’arma antica, poco più corta di una lancia) perché quando un “bullo” decideva di cambiare vita, appendeva l’arma del mestiere in S. Maria in Trastevere; oggi vi sono conservate una raccolta di epigrafi cristiane, frammenti di fregi, resti di plutei dell’antica basilica, sarcofagi, affreschi e pietre tombali.

 

L’interno, oltre ai mosaici di Pietro Cavallini del XIII secolo, è ricchissimo di opere d’arte e conserva sepolture illustri: i cardinali Pietro Stefaneschi, Osio e d’Alençon, parente di Carlo V, Altemps di Gallese, Armellini e anche quella di papa Innocenzo II, che Pio IX fece trasferire qui dal Laterano.









In cornu Epistulae trova posto un organo del 1702 costruito dall'organaro romano Filippo Testa in sostituzione di un precedente strumento cinquecentesco del veneto "Venerio de Legge". È dotato di un'unica tastiera di 53 note con prima ottava corta e pedaliera a leggio di 17 note unita al manuale e senza registri propri.


La Cappella Avila, la quinta a sinistra dell’ingresso. Pietro Paolo Avila affidò, nel 1678, il compito di restaurare la cappella di famiglia al pittore reatino Antonio Gherardi, il quale, chissà per quale motivo, decise di improvvisarsi architetto. Sfruttando la conoscenza dei due principali protagonisti del barocco romano, Bernini e Borromini, realizzò qualcosa di straordinario: una sorta di “teatrino sacro” liberamente ispirato alle opere dei suoi maestri.