Da Corso Zanardelli a Piazza Arnaldo

Anticamente la via era nota come contrada del Gambero, per la presenza dell'omonima locanda. La denominazione resta oggi in uso solamente per la corsia del Gambero, collegamento tra il corso e via Moretto.

Con il passare del tempo, la via acquistò la denominazione di Mercato del vino, in riferimento al commercio del vino che qui si teneva almeno fino alla metà dell'Ottocento, quando il mercato venne trasferito a porta sant'Alessandro (oggi piazzale Cremona). Fu allora che il corso mutò la propria destinazione sociale assumendo la denominazione di corso del Teatro prima, in riferimento al teatro Grande, e di contrada dell'Ospitale Grande poi, per la presenza, all'interno della Crociera di San Luca, dell'Ospedale Maggiore, poi trasferito nel convento di san Domenico.

In occasione del primo anniversario della morte dello statista bresciano Giuseppe Zanardelli, nel 1904, il Comune propose di intitolare alla sua memoria quella che ormai era diventata la via più importante della città. La richiesta viene accolta e la via acquista il nuovo titolo, che mantiene tuttora.

Il Teatro Grande

Il Teatro Grande di Brescia trae le sue origini da un’istituzione seicentesca, l’Accademia degli Erranti, che dal 1640 circa fondò e dedicò ogni sua energia alla gestione del teatro cittadino. Nel XVII secolo, infatti, la nascita e lo sviluppo del melodramma fecero nascere l’esigenza di aprire spazi teatrali pubblici dove poter mettere in scena le rappresentazioni.

La storia ci tramanda che al primo Teatro cosiddetto degli Erranti del 1664 ne seguirono, per esigenze di spazi sempre più grandi, altri due, mentre quello attuale, denominato Grande in onore di Napoleone, è stato, nella sua parte interna, ricostruito nel primo decennio dell’Ottocento.

Col passare degli anni oltre ad affermarsi come il principale teatro cittadino nel quale si esibirono i più grandi cantanti d’opera e i più celebri musicisti italiani ed internazionali, il Grande venne riconosciuto come monumento nazionale con atto di vincolo del 22 marzo 1912.

Nel corso del Novecento, inoltre, acquisì un’importanza sempre maggiore anche tra i teatri nazionale fino a che, negli anni ’70, lo Stato italiano lo identificò come uno degli allora 23 teatri di tradizione italiani (oggi divenuti 28), riconoscendo per la prima volta le funzioni culturali, sociali e formative delle attività musicali, di programmazione e/o produzione lirico sinfonica di questi teatri, comunemente caratterizzati da un forte radicamento in aree del territorio dove è significativa una tradizione artistico-culturale.


 

 

 

Lasciando Corso Zanardelli e imboccando via Felice Cavallotti si arriva al teatro Sociale.



Il Teatro Sociale trae le sue origini dalla storia della famiglia di Luigi Guillaume, nobiluomo francese fuggito con la moglie Maddalena, da Lione (Francia) durante la rivoluzione francese.

I Guillaume, confusi a un gruppo di saltimbanchi e di attori girovaghi, per meglio ingannare gli inseguitori, raggiunsero l’Italia in modo rocambolesco trovando però, nell’affascinante mondo circense, il modo di sopravvivere alla propria condizione di esuli espropriati.

Provetti cavallerizzi, educati a coltivare le loro abilità sportive, i Guillaume formarono una loro compagnia e con quella iniziarono a girare l’Europa. Per caso o forse per scelta ad un certo punto i nostri scelsero Brescia per residenza fissa. Acquistarono un palazzo in centro e presero a frequentare, nei momenti di pausa tra un viaggio e l’altro o tra uno spettacolo o l’altro, la società altolocata della città.

Alla metà dell’Ottocento il discendente del capostipite acquistò un’area nel centro cittadino e vi fece costruire un teatro in legno adatto agli spettacoli equestri, a quelli di prosa e alle riunioni politiche. Gli altri fratelli formarono a loro volta compagnie con le quali riscossero successi nelle maggiori piazze in Italia e all’estero. Nel 1873 il teatro venne ricostruito in forma più elegante e dignitosa e diventò il tempio della buona borghesia bresciana desiderosa di divertimento. Nel 1903 la famiglia Guillaume lasciò il teatro che venne acquistato da un gruppo di appassionati i quali, dopo un restauro in perfetto stile Liberty, secondo la moda del tempo, gli diedero il nome di Teatro Sociale.

Fino al 1981, anno di chiusura della sala, sul palcoscenico del Teatro Sociale hanno trovato ospitalità spettacoli “leggeri”: operette, cabaret, concerti, mentre nel vicino Teatro Grande, maggiore per tradizione artistica e per capienza di sala, hanno continuato ad essere rappresentati spettacoli di prosa, concerti di musica classica e opera lirica.

 Gli attuali restauri, che si sono protratti con alcune interruzioni dal 1986 al 1996 ci restituiscono un teatro capace di ospitare seicento spettatori – ora sala del Teatro Stabile di Brescia.



Spostandoci in fondo alla Corsia del Gambero ci troviamo nella Piazzetta Bruno Boni

Piazza Bruno Boni è situata a sud di corso Giuseppe Zanardelli, poco a nord della chiesa di San Lorenzo e via Moretto. Inaugurata nel 1998, è il risultato della fusione di una serie di spazi e ambienti dismessi a partire dall'Ottocento, in particolare l'ex giardino privato di palazzo Bettoni Cazzago e il demolito convento degli Umiliati, del quale rimane un breve paramento murario.

 La piazza non è mai esistita dal punto di vista storico ed è il risultato di un progetto di riqualificazione urbanistica condotto alla fine del Novecento. 








 

 

 

 

 

Ritornati sul corso Zanardelli imbocchiamo Corso Magenta.


Lasciando corso Magenta e scendendo da via Cavour si arriva alla Piazzetta di Sant’Alessandro ove si trova la chiesa omonima.

Questa chiesa è stata fondata probabilmente dal vescovo bresciano Gaudioso nella prima metà del V sec. d.C., viene eletta canonica nel 1136 e ricostruita con l'annesso convento nel primo quarto del Quattrocento dalla Congregazione dei Servi di Maria. Nel 1466 il nuovo edificio è consacrato dal vescovo Domenico de Dominicis, che aggiunge all'originaria titolazione di S. Alessandro quella a Maria Vergine. Nel secolo successivo i Servi di Maria commissionano al pittore bresciano Lattanzio Gambara, genero di Gerolamo Romanino, un ciclo di affreschi dedicato alle storie della Vergine, Mosè, Aronne e Melchisedec, purtroppo perduti durante i lavori di ampliamento avvenuti nel Settecento, insieme al ciclo il Camillo Rama (1628) raffigurante episodi della vita di Maria e al polittico della Natività di Romanino (1525), oggi alla National Gallery di Londra. La tela con S. Rocco (1545 circa.) di Alessandro Bonvicino detto il Moretto è invece oggi conservata a Budapest. Colpito duramente dall'esplosione della polveriera di S. Nazaro nel 1769, il tempio è oggetto di un importante intervento di ricostruzione progettato dall'architetto bresciano Giovanni Donegani (1753-1813), che oltre la chiesa interessa lo spazio antistante dove, demolita la casa della famiglia Avogadro Fenaroli, viene predisposta l'attuale piazzetta, impreziosita dalla fontana a forma di valva di conchiglia, ideata dallo stesso Donegani (1787). Nel 1797, nell'ambito delle soppressioni monastiche, viene soppressa anche la Congregazione dei Servi di Maria e con essa il convento, poi destinato ad arsenale e ospedale militare. Durante il bombardamento aereo del 1945 i due chiostri annessi al convento vengono distrutti e al loro posto negli anni Sessanta è costruito il moderno Condominio S. Alessandro.


La facciata attuale è progettata dall'architetto Carlo Melchiotti tra il 1894 e il 1903, che recupera il progetto originale di Giovanni Donegani (Brescia, 1753-1813), mai realizzato per mancanza di fondi. Divisa in due ordini, presenta un sobrio ingresso centrale con coronamento semicircolare, in asse con la finestra rettangolare posta nell'ordine superiore, entrambi scanditi da due coppie di colonne corinzie che poggiano su alti stilobati. Su di esse poggiano l'architrave e il timpano triangolare con profilo dentellato, movimentato da margini esterni aggettanti. L'interno presenta una pianta longitudinale progettata dallo stesso Donegani in stile classicheggiante, con quattro altari per lato inseriti entro cappelle. La navata unica è coperta da una volta a botte che si interrompe in corrispondenza dell'altare maggiore, su cui insiste un'ampia cupola. Pur essendo stata privata nel tempo e soprattutto durante i lavori compiuti nel XVIII secolo di gran parte dei suoi tesori, la chiesa ospita un cospicuo nucleo di opere di particolare valore storico e artistico, tra cui numerose tele del bresciano Girolamo Rissi (1547-1614 ca.), un Ecce homo di Lattanzio Gambara (1563) e due statue della Fede e della Carità scolpite da Antonio Calegari. Queste abbelliscono l'altare marmoreo proveniente dalla chiesa di Santa Giulia in città, venduto alla chiesa di S. Alessandro nel 1804. Il primo altare a destra ospita l'opera ritenuta più preziosa: la pala dell'Annunciazione attribuita al veneziano Jacopo Bellini (1444), significativo esempio del passaggio dal gusto tardo gotico a quello del primo Rinascimento.


Subito dopo su via Moretto troviamo il Palazzo Martinengo Colleoni ex tribunale di Brescia.

Il palazzo si sviluppa intorno ad un cortile trapezoidale; presenta una imponente scala a giorno, ampia loggia e un vasto salone adorno di stucchi, oltre a sale affrescate nei secc. XVIII e XIX.



La presenza nella quadra di S. Alessandro della famiglia Martinengo-Colleoni risale al 1534, quando Gerardo III, bisnipote di Bartolomeo Colleoni, si trasferì in un palazzo posto in via Moretto, sullo stesso lotto ove sorge l’edificio odierno. A seguito di vicissitudini ereditarie, il palazzo passò a Estore II Martinengo Colleoni, capostipite del ramo di Malpaga, e, successivamente, a Estore III, il quale alla sua morte donò il palazzo al Comune di Brescia nel 1631. Il motivo di questo lascito è da ricercarsi negli attriti e nei disaccordi tra Estore III e i suoi due figli, Alessandro e Bartolomeo, i quali tuttavia, a seguito di una causa che si prolungò fino al 1649, videro loro restituita la proprietà. Lo stesso anno però, in conseguenza di alcuni episodi delittuosi compiuti da Alessandro, i due fratelli si trovarono nella necessità di dover vendere la dimora e i mobili in essa contenuta alla Città, la quale ne fece alloggi per ufficiali veneziani di stanza a Brescia. Fu solamente nel 1697 che Estore IV, figlio di Alessandro, riuscì a riacquistare il palazzo per la medesima cifra con cui, circa cinquant’anni prima, era stato venduto. Tuttavia, poiché l’edificio versava ormai in pessime condizioni, il nuovo proprietario si convinse ad abbattere l’antica costruzione e principiarne una nuova, affidandosi all’architetto bolognese Alfonso Torreggiani. Le precarie fortune della famiglia furono nuovamente messe alla prova verso la fine del XIX secolo, costringendo Venceslao II Martiengo-Colleoni a vendere, nel 1885, l’immobile al banchiere svizzero Giuseppe Baebler. Attraverso questi il palazzo passò poi alla Banca Mazzola Perlasca e, in seguito, al Comune di Brescia che, nel 1927, lo destinò a Tribunale. Terminata la funzione di Corte di Giustizia nel 2009, l’edificio fu sottoposto a un importante e complesso intervento di restauro, conclusosi nel 2015 e destinato ad ospitare le diverse attività promosse all’interno del progetto MO.CA.
















Percorrendo via Moretto si arriva all’omonima piazza ove ha sede la Pinacoteca Tosio Martinengo

Pinacoteca Tosio/Martinengo
Pinacoteca Tosio/Martinengo


Chiesa di Sant'Angela Merici

Spostandoci leggermente su Via Crispi  troviamo la chiesa di Sant’Angela Merici.





La chiesa di S. Angela Merici, già chiesa di S. Afra, a sua volta basilica di S. Faustino ad sanguinem, e originariamente cimitero di S. Latino, è situata in via Francesco Crispi. La facciata, completamente distrutta nel bombardamento aereo del 2 marzo 1945, viene ricostruita tra il 1950 e il 1957, osservando con assoluta fedeltà il progetto rinascimentale dell'architetto bresciano Pier Maria Bagnadore (1550-1627), che per la sua realizzazione si ispira alla chiesa del Gesù a Roma. Su due ordini è scandita da quattro lesene lievemente aggettanti che inquadrano il sobrio portale architravato, sormontato da un timpano spezzato, al quale si affiancano due finestre rettangolari. Esigenze urbanistiche di ampliamento della strada hanno irrimediabilmente sacrificato la facciata originaria e la prima campata della navata centrale, imponendo la ricostruzione della scalinata di accesso a doppia rampa all'interno, un tempo in facciata. L'interno presenta una pianta longitudinale a tre navate scandite da arconi, chiuse da cappelle laterali. Alla chiesa è annesso un convento oggi adibito a sede del Centro mericiano, associazione nata nel 1984 con lo scopo di ricercare e conservare il patrimonio documentale e culturale legato a S. Angela Merici (Desenzano d/Garda, 1476-1540), fondatrice della Compagnia delle dimesse di S. Orsola canonizzata nel 1807 da papa Pio VII.


  Trasfigurazione del Tintoretto





Polittico di Paolo da Caylina il Giovane
Polittico di Paolo da Caylina il Giovane




Chiesa di San Barnaba

Da via Crispi si ritorna sul corso Magenta.

Su questo corso incontriamo la Chiesa di San Barnaba. Questa una volta faceva parte del Convento degli Agostiniani osservanti (ca. metà sec. XIII - 1797).

Non sono noti nè la data esatta nè il luogo della prima sede di insediamento degli Eremitani di Sant'Agostino a Brescia. Il loro arrivo in città dovrebbe risalire alla metà del XIII secolo sebbene non se ne abbiano notizie precise.

Nel 1286 o nel 1298 il vescovo di Brescia Berardo Maggi fece iniziare la costruzione di una nuova chiesa di San Barnaba a sostituire la precedente e un nuovo, più grande convento per gli Eremitani. Il favore del vescovo Maggi nei confronti dei frati è testimoniato nell'autorizzazione ai fratelli di San Barnaba di dedurre una nuova condotta d'acqua per il convento che ne era privo. L'ordine era destinato a conoscere grande diffusione e successo a Brescia nel periodo immediatamente successivo, come dimostrerebbe il fatto che già nel 1313 le elemosine elargite del comune ai frati di San Barnaba era pari a quello dei Francescani e dei Domenicani residenti a Brescia. Nel 1333-1335 la cattedra vescovile vacante fu diretta dal frate agostiniano Tommaso e nel corso del Trecento per due volte la carica vescovile fu detenuta da frati di San Barnaba. Nel 1346 la comunità di San Barnaba era composta da 37 religiosi. Nel secolo successivo anche gli Eremitani di San Barnaba, al pari degli altri enti religiosi bresciani furono soggetti a un processo di grave decadenza; nel 1457 a causa della loro condotta scandalosa furono espulsi dalla città e sostituiti il 21 luglio 1457 da una comunità dell'Osservanza di Lombardia del medesimo ordine.

Gli osservanti si occuparono presto della ricostruzione di parte degli edifici del convento; nel 1490 venne realizzato un grande ambiente da destinare a libreria, dove Pietro da Cemmo affrescò un importante ciclo sulla vita di sant'Agostino. Non si hanno particolari notizie sui secoli successivi della vita degli agostiniani osservanti a San Barnaba. Negli anni 1632-1659 si procedette alla trasformazione della chiesa in senso manieristico-barocco. Nel 1797 gli stessi frati fecero richiesta di soppressione del convento e per questo furono dichiarati "benemeriti della patria". La chiesa continuò a essere officiata fino a fine '800 ed ospita oggi un auditorium, mentre i chiostri sono sede del conservatorio cittadino.





Chiesa di Sant'Afra

Al termine di via Moretto si trova la chiesa di sant’Afra.

La chiesa di sant’Afra in sant’Eufemia fu così intitolata dopo la seconda guerra mondiale, quando, in seguito alla distruzione della chiesa in via Crispi, la parrocchia di sant’Afra fu spostata nella vicina chiesa di sant’Eufemia.

L’edificio, ubicato in corso Magenta, accanto a piazzale Arnaldo, è il frutto della ricostruzione avvenuta nella seconda metà del Settecento. Nonostante tutto, sono ancora visibili elementi strutturali e intonaci più antichi che riportano la datazione storica fino al XII secolo. Sull’area attuale della chiesa, ma con minore dimensione, sorgeva la chiesa degli Umiliati di Contegnaga e sul fianco meridionale si trovava la loro casa ( D’Ostiani, 1895). L’Ordine degli Umilianti sorse come movimento evangelico di perfetta vita cristiana tra i lavoratori della lana dei sobborghi delle città lombarde, tra il 1170 e il 1178. Riconciliato con la Chiesa, l’Ordine si diede alla vita monastica laicale e operaia abitando case attigue alle chiese. Brognoli, nel 1826, riporta che nel 1251 la chiesa e il locale adiacente rimasero vacanti per la soppressione degli Umiliati, e che a loro subentrarono i monaci Benedettini di Montecassino del vicino monastero titolato prima a san Paterio, sedicesimo vescovo di Brescia che qui fu sepolto nel 1478, e poi a sant’Eufemia. La Santa era una vergine consacrata a Dio. Durante la persecuzione di Diocleziano, le furono spezzati i denti con un martello e quindi fu gettata sul rogo. Forse sotto sant’Ambrogio, le sue reliquie furono traslate a Milano. Il primo utilizzo fu come ospizio. La guerra contro la corte viscontea, nel XV secolo, danneggiò il monastero, costringendo i monaci a riparare nella vecchia casa degli Umiliati. Grazie a un provvedimento favorevole del comune, dal 1463 al 1468 venne ricostruita la chiesa, probabilmente sopra quella degli Umiliati. Le antiche guide di Brescia riportano gli interventi settecenteschi che vedono intorno alla metà del secolo la costruzione della nuova chiesa su disegno dell’architetto Domenico Carboni (1727-1768). Il cantiere della fabbrica è ancora aperto nella seconda metà del secolo: al 1776 risale infatti il rinnovo del presbiterio, del coro e dell’altare maggiore per opera del confratello e abate Piero Faita. Terminata la fabbrica, la chiesa venne affrescata da pittori quali Sante Cattaneo, Pietro Ferrari, Antonio Grassi, Carlo Carloni, Antonio Mazza. Furono realizzate le architetture degli altari per i quali vennero adattati dipinti più antichi e commissionati di nuovi. Dopo il trasferimento dei monaci nel vicino monastero di san Faustino Maggiore e la definitiva soppressione dell’Ordine (1797), la chiesa fu dichiarata sussidiaria della parrocchia di sant’Afra con decreto napoleonico dell’8 giugno 1805; al rettore del culto venne inoltre assegnata una piccola parte del monastero, trasformato in sede di caserma, con conseguente degrado, documentato già dal 1826 (Brognoli) degli affreschi del chiostro, attribuiti al Gambara. Dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale e la distruzione di sant’Afra (attuale santuario di sant’Angela Merici), passò a parrocchia con il curioso titolo di sant’Afra in sant’Eufemia, e nella chiesa confluirono dipinti e suppellettili della vecchia parrocchiale bombardata.


 

 

Questo portale, opera di Domenico Carboni, architetto responsabile del cantiere per la nuova fabbrica, presenta sopra uno scudo del timpano del portale maggiore, l’iscrizione: D.O.M. IN HON. S. EUPHEMIAE V. ET/M. MONACHI CASINENSES D.D. AN. MDCCLXXVI. 

Raffinato esempio di passaggio fra l’ultimo barocco e un incipiente classicismo, interamente di marmo di Botticino, è coronata da un timpano triangolare e suddivisa orizzontalmente in due ordini da una forte trabeazione, verticalmente da piatte lesene con alto basamento. L’ordine inferiore presenta al centro un portale architravato con timpano curvilineo, ai lati due porte minori rettangolari. L’ordine superiore vede al centro un finestrone rettangolare con timpano sagomato decorato a rilievo con ornati; ai lati il motivo rinascimentale della girali derivato da influssi romani.





Gloria di Sant'Eufemia nella volta a botte del presbiterio
Gloria di Sant'Eufemia nella volta a botte del presbiterio






Piazza Arnaldo

Mercato dei grani

 

L'edificio è una grandiosa fabbrica lunga 112 metri e larga 15, con venti arcate.

Questa piazza, a inizio Ottocento, era lo Storico Mercato dei grani. E’ dedicata al martire cittadino, ha assunto la sua forma attuale nel 1882 trasformandosi, nel corso degli anni, nel fulcro della vita mondana e notturna bresciana.

Piazzale Arnaldo è situato sul perimetro est del centro storico cittadino. Ad inizio Ottocento era occupato da terreni coltivati, di proprietà dei monaci che gestivano il convento vicino di Sant’Afra. In seguito, il Comune acquistò questi terreni e la piazza venne trasformata costruendo il Mercato dei Grani (grande edificio porticato lungo più di cento metri, dove si poteva svolgere il mercato) e due caselli daziari che chiudevano ad est il piazzale. Per attuare queste trasformazioni venne sgomberato il primo tratto sud dell’attuale via Dieci Giornate, chiamata a quel tempo via del Granarolo. Nella seconda metà dell’Ottocento le mura cittadine vennero integralmente demolite e si innalzò un monumento ad Arnaldo da Brescia (frate che nel XII secolo fu arso al rogo in quanto denunciò la corruzione del Clero e predicò la povertà nella Chiesa), in sostituzione alla porta fortificata. Dal 1882 non sono più state effettuate modifiche strutturali. La piazza ha cambiato negli anni il suo nome: nel 1897 venne intitolata ad Arnaldo da Brescia, in epoca fascista alle Dieci Giornate, tornando dopo la seconda guerra mondiale ad essere dedicata al martire. Essa fu anche teatro di eventi terribili: sanguinosi scontri tra popolazione e occupanti austriaci nel 1849, durante le Dieci Giornate di Brescia, e un attentato nel 1976.

 

Oggi il piazzale è un importante nodo della viabilità urbana ed è anche uno dei centri della vita bresciana notturna, con i suoi locali e ristoranti adatti a tutte le età. Fanno da sfondo panoramico i Ronchi, le colline della città, su cui è possibile ammirare la nota tomba del cane.

 

 

 

 

L'arcata centrale del Mercato dei Grani con lo stemma cittadino

Dettaglio del Mercato dei Grani con targa in memoria degli scontri del 1849