Passeggiando per Roma- da Piazza Navona al Pincio


Piazza Navona

Piazza Navona, la più bella piazza barocca di Roma, occupa la pista dell’antico “Stadio di Domiziano”, o “Circus Agonalis“, del quale ha conservato perfettamente la forma rettangolare allungata dell’arena, con uno dei lati minori (quello settentrionale) curvo, mentre gli edifici circostanti occupano il luogo delle gradinate della cavea. Lo Stadio fu fatto costruire da Domiziano forse già prima dell’86 d.C. per servire ai giochi atletici greci da lui particolarmente apprezzati, ma che i Romani non amavano, considerandoli immorali.


La vita della piazza iniziò, però, solo nella seconda metà del XV secolo, allorché venne qui trasferito il mercato che da parecchi anni si teneva sulla piazza del Mercato, divenendo un punto fisso di vendita di ortaggi, carni e merci varie. Luogo di mercato e d’incontro,  ma divenne anche il luogo delle feste e delle processioni, tanto più che era stata regolarizzata e “mattonata” nel 1485 (anche se la vera e propria selciatura avverrà soltanto nel 1488). Gli spagnoli, insediati nella chiesa di S. Giacomo, introdussero, nel 1579, la tradizione della processione del mattino di Pasqua con lo sparo dei mortaretti; qui si rinnovarono quelle feste carnevalesche del Maggio romanesco che in passato si svolsero al Monte Testaccio, al Corso ed in altri luoghi della città. Essenziale fu, per il miglioramento e l’ornamento della piazza, l’impresa di Gregorio XIII Boncompagni (1572-85), che fece portare ben tre fontane, compreso un abbeveratoio, al servizio del mercato e degli animali da trasporto che vi affluivano. Ma la sorte più benigna per il destino della piazza venne decisa nel 1630, quando il cardinale Giovanni Battista Pamphilj, poi divenuto papa nel 1644 con il nome di Innocenzo X, fece costruire un edificio in forme tardo cinquecentesche sull’area di alcune case già di proprietà della sua famiglia.

 

L’imponente Palazzo Pamphilj fu costruito da Girolamo Rainaldi ed è costituito da un corpo centrale, scandito da paraste e arcature cieche, con un balcone centrale al piano nobile, retto da quattro colonne, sovrastante il portale ad arco bugnato. Al primo piano vi sono finestre con timpano centinato e triangolare alternato, al secondo finestre con cimasa decorata da conchiglia e sovrastate dalle finestrelle dell’ammezzato con il grande stemma dei Pamphilj al centro, costituito da tre gigli sopra una colomba con un ramo di ulivo nel becco. Sopra il cornicione di coronamento vi è una grandiosa loggia con tre arcate e due finestre. Ai lati del corpo centrale sorgono due edifici uguali di tre piani ciascuno, con due portali incorniciati e sovrastati da un balconcino. Qui risiedette uno dei personaggi più famosi di Roma, Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, soprannominata da Pasquino la “Pimpaccia de piazza Navona”, dal personaggio di una commedia seicentesca della Roma Barocca, “Pimpa”, perché come questa era dispotica, furba, presuntuosa e spregiudicata. Viterbese di nascita, venne ad abitare nel palazzo di piazza Navona dopo essersi sposata con Pamphilio Pamphilj; rimasta vedova, accumulò tante ricchezze da divenire la padrona di Roma, soprattutto dopo che il cognato Giovanni Battista divenne papa col nome di Innocenzo X. Mirabili affreschi di Pietro da Cortona, una galleria del Borromini ed altre pregevoli opere d’arte adornano le belle sale del palazzo, dal 1961 sede dell’Ambasciata del Brasile. Nel 1647 Innocenzo X progettò una più degna sistemazione della piazza con la costruzione di una fontana al centro, in sostituzione della semplice vasca quadrilatera che fungeva da “beveratore delli cavalli“. Per questo motivo il pontefice fece condurre nella piazza circa 150-180 once di acqua dal condotto dell’Acqua Vergine, a conferma della grande importanza che Innocenzo X dava all’opera. Inizialmente il progetto fu affidato al Borromini, ma Gian Lorenzo Bernini, allora in disgrazia presso il papa, o meglio, presso Donna Olimpia, riuscì a riguadagnare il favore della potente donna ed a soppiantare il rivale con uno stratagemma: fece pervenire ad Olimpia (e quindi al papa) un modellino d’argento della fontana. Il pontefice, vedendo “per caso” il modellino, ne rimase entusiasta e trasmise l’ordine al Bernini. Secondo fonti dell’epoca, il modello piacque perché era fuso in argento e, soprattutto, perché fu lasciato in regalo all’avida “Pimpaccia“. 


La Fontana del Moro

La Fontana del Moro, posta sul lato meridionale sotto le finestre di palazzo Pamphilj, fu realizzata nel 1574 sotto il pontificato di Gregorio XIII Boncompagni ed originariamente era posta su un basamento con due scalini in travertino, circondata da una balaustrata in travertino (alta circa 35 cm) e da 12 colonnine “per defendere et salvare dette opere dalla carrette e cocchi, che potrebbero mandarla a ruina“. La vasca, di dura pietra mischia, fu ornata di mostri marini e alternativamente da un drago e un’aquila (stemmi araldici della famiglia Boncompagni) e, agli angoli, da quattro tritoni con la buccina, alternati da mascheroni (anche se originariamente i tritoni erano stati ordinati per la fontana del Trullo, allora situata in piazza del Popolo. Nel 1874, contemporaneamente alla realizzazione definitiva della fontana settentrionale di piazza Navona, tutti i gruppi scultorei della fontana del Moro vennero rimossi e trasferiti e sostituiti da copie di Luigi Amici. Solo in tempi recenti si è proceduto al loro restauro, ma gli originali sono stati utilizzati per altre fontane; i tritoni, in particolare, si trovano nella fontana del laghetto di Villa Borghese.


L'originaria conchiglia con tre delfini, nel 1655, venne sostituita con il Moro, ovvero la statua in marmo dell’Etiope in lotta con un delfino scolpita da Giovan Antonio Mari nella casa stessa del Bernini: in realtà la statua rappresenta un muscoloso tritone che trattiene a viva forza un delfino che tenta di sottrarsi alla stretta sfuggendogli tra le gambe. Solo successivamente il Bernini eliminò gradini e balaustrata dalla fontana ed allargò attorno alla vasca una bella piscina a livello del suolo.



La Fontana dei quattro fiumi o anche solo la fontana dei fiumi

La Fontana dei Fiumi, inaugurata nel 1651 e realizzata grazie ai proventi di tasse su pane, vino e analoghi generi di consumo, risulta senza dubbio uno dei monumenti più belli e famosi della Roma barocca e rappresenta i quattro grandi fiumi allora conosciuti: il Gange, il Nilo, il Danubio ed il Rio della Plata. Quattro statue di marmo bianco, alte cinque metri, situate su masse sporgenti di travertino attorno al monolite, rappresentano i quattro fiumi: il Nilo, opera di Giacomo Antonio Fancelli, presenta la singolarità di avere la testa velata perché le sue sorgenti erano allora sconosciute, anche se per il popolo, invece, esprimeva il disprezzo del Bernini per la vicina chiesa di S.  Agnese in Agone, progettata dal suo rivale Borromini, come anche il braccio alzato a protezione della testa del Rio della Plata, opera di Francesco Baratta, esprimeva il timore ironico dell’artista che la chiesa potesse crollare. Tali dicerie sono però destituite da ogni fondamento perché Bernini completò la fontana prima che Borromini iniziasse la chiesa. Infine, il Gange è opera di Claude Poussin mentre il Danubio è di Antonio Raggi. Lo stemma araldico della famiglia papale, la colomba con il ramo d’olivo, decora la roccia piramidale dell’obelisco e simboleggia il potere divino che scende come raggio solare lungo i quattro angoli dell’obelisco fino alla roccia, che ricorda la materia informe, il caos. Secondo l’iscrizione voluta da Innocenzo X, il monumento intende magnificamente offrire “salubre amenità a chi passeggia, bevanda a chi ha sete, esca a chi medita”.


L’obelisco Agonale, di granito e alto 16,54 metri, fu innalzato il 12 agosto 1649 sopra un alto basamento affinché apparisse ancora più elevato, al di sopra dello scoglio.

 

La presenza dell’obelisco sulla fontana fu richiesta espressamente dal papa, dopo che questi si recò in visita a S. Sebastiano il 27 aprile del 1647 e lì, presso il Circo di Massenzio, vide “per terra un obelisco grandissimo”. Le iscrizioni in geroglifico, sulle quali appariva il nome di Domiziano, provano che originariamente l’obelisco era situato presso il “Tempio di Iside” e soltanto successivamente trasferito da Massenzio nel suo Circo.



Simboleggia il fiume Rio della Plata


Simboleggia il fiume Nilo


Simboleggia il fiume  Danubio


Simboleggia il fiume Gange



la Fontana del Nettuno

La Fontana del Nettuno, anticamente detta “dei Calderari” per la presenza nella zona di botteghe di fabbricanti di catini e vasi di rame. Questa fontana, realizzata dal Della Porta nel 1574, non avendo una Donna Olimpia che la proteggesse, rimase a lungo abbandonata, priva di decorazioni fino al 1873, quando il Comune di Roma, dopo un bando di concorso, assegnò l’opera al siciliano Zappalà ed al romano Della Bitta, il primo autore dei gruppi costituiti da cavalli marini guidati da fanciulli, da sirene in lotta con mostri marini e da putti alati che giocano con i delfini, mentre il secondo fu l’autore della figura centrale rappresentante Nettuno con il tridente che si difende da una piovra avvinghiata alle gamb. IL giorno della sua inaugurata, il 23 giugno 1652, fatta da papa Innocenzo X e da sua cognata, furono chiusi gli scarichi delle tre fontane, lasciando così debordare l’acqua fino a coprire la parte centrale della piazza, che era concava. Nobili e poveracci vi si divertivano: i primi, attraversando la piazza a cavallo o in carrozza, i secondi sguazzandoci sopra oppure spingendo in acqua i carretti a mano.



La chiesa di S. Agnese in Agone è stata fondata, si dice, sul luogo in cui, nell’anno 304 d.C., fu martirizzata la giovane Agnese, rea di avere rifiutato il figlio del prefetto di Roma e quindi denunciata come cristiana. Venne denudata ed i suoi capelli, allora, ebbero una crescita miracolosa e scesero a coprirle interamente il corpo. Nessuno osò più violare la sua verginità dopo che l’unico che ci provò cadde fulminato ai suoi piedi; gettata nel fuoco, questo si spense dopo le sue orazioni e fu così che venne trafitta da un colpo di spada alla gola, allo stesso modo con cui si uccidevano gli agnelli. La struttura più antica della chiesa risale all’VIII secolo. Più volte ricostruita, nel 1652 fu sostituita dalla maestosa chiesa, che ancora oggi possiamo ammirare, per volontà di papa Innocenzo X Pamphilj, il quale affidò l’opera a Girolamo e Carlo Rainaldi, sostituiti, in seguito, dal Borromini, che vi lavorò dal 1653 al 1657. Questi si attenne quasi completamente al progetto dei Rainaldi, salvo che per la facciata concava, studiata per dare maggiore risalto alla cupola. 





Il “Lago di piazza Navona”  divenne una consuetudine estiva e per quasi due secoli, il sabato e la domenica del mese di agosto, la piazza si allagava, finché, nel 1866, sotto Pio IX, il divertimento venne sospeso. Dopo il 1870, con Roma capitale d’Italia, piazza Navona venne pavimentata con i “sampietrini”, ma soprattutto venne costruito il marciapiede centrale a schiena d’asino: ciò significa che la piazza divenne convessa anziché concava, rendendo impossibile, quindi, un eventuale ripristino del “lago”. Ciò non tolse definitivamente, però, l’animazione alla piazza, che, pur se acquistando un carattere ludico-fieristico, rinasce, durante il periodo natalizio, con la festa dell’Epifania: in questa occasione la piazza si riempie di bancarelle, giocattoli, “Befane” e “Babbi Natale”, quasi a non voler abbandonare il gioco e l’allegria che per secoli l’hanno accompagnata.


Il Pantheon

«Il più bel resto dell’antichità romana. Un tempio che ha così poco sofferto che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani», così lo descrisse lo scrittore francese Stendhal nell’Ottocento. Fonte di ispirazione dei più grandi architetti di ogni epoca e da sempre ammirato per la sua bellezza, l’armonia delle linee e il calcolo perfetto delle geometrie delle masse, il Pantheon è in effetti uno degli esempi meglio conservati dell’architettura monumentale romana.

La sua storia inizia nel 27 a.C., quando Marco Vipsanio Agrippa, genero, amico e collaboratore di Augusto, fece costruire un primo tempio in quest’area dedicato a “tutti gli dei”. La forma attuale si deve però ad Adriano che lo fece riedificare tra il 118 ed il 125 d.C., ampliandolo, rovesciandone l’orientamento e aprendo davanti al nuovo tempio una grande piazza porticata.

Caduto in stato di abbandono e successivamente saccheggiato dai barbari, nel 609 d.C. fu donato dall’imperatore bizantino Foca al Papa San Bonifacio IV che lo consacrò dedicandolo a Santa Maria ad Martyres e preservandolo in questo modo dalle spoliazioni che interessarono molti altri monumenti antichi in epoca medievale. La Basilica ospita al suo interno l’antichissima Icona bizantina della Vergine col Bambino che l’Imperatore Foca donò al Papa San Bonifacio IV nel 609, in occasione della Dedicazione dell’antico tempio pagano al culto cristiano.

Nel 1625, sotto il pontificato di Urbano VIII Barberini, venne privato del rivestimento bronzeo del portico per fondere il baldacchino di San Pietro e 80 cannoni destinati a Castel Sant’Angelo. Dall’episodio ebbe origine il celebre detto, affidato alla statua parlante di Pasquino: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”. Negli stessi anni ai lati del suo frontone furono realizzati due campanili, che i romani chiamavano spregiativamente “orecchie d’asino” e che furono rimossi con l’Unità d’Italia. Nel 1870 è divenuto sacrario dei re d’Italia, e accoglie le spoglie di Vittorio Emanuele II, Umberto I e Margherita di Savoia, oltre alle sepolture di numerosi artisti tra cui Raffaello Sanzio.

 

L’edificio è composto da una struttura cilindrica preceduta da un portico con colonne corinzie che sorreggono il frontone; sul fregio della trabeazione è conservata l’iscrizione originaria con la dedica ad Agrippa. La grande cella circolare è cinta da spesse pareti in muratura e da otto grandi piloni su cui è ripartito il peso della caratteristica cupola emisferica in calcestruzzo, più grande di quella della Basilica di San Pietro. Ciò che più sorprende dell’architettura del Pantheon sono le sue dimensioni: l’altezza dell’edificio è pari al diametro della cupola, poco più di 43 metri, caratteristica che rispecchia i canoni classici dell’architettura razionale romana. La parte interna della cupola è decorata con cinque ordini di 28 cassettoni (numero considerato perfetto perché dato dalla somma 1+2+3+4+5+6+7) che vanno restringendosi verso l'alto. Al centro si apre un oculo di 8,92 metri di diametro, che consente alla luce naturale di penetrare e illuminare tutto l’edificio. Nel solstizio d’estate, il raggio di sole che entra dal grande occhio della cupola proietta un enorme disco luminoso sul pavimento, di diametro uguale a quello dell’oculo. In caso di pioggia l’acqua entra nel Pantheon e sparisce nei 22 fori quasi invisibili posti sul pavimento. 










Tempio di Adriano

Il tempio venne eretto in onore dell'imperatore Adriano, divinizzato dopo la sua morte.

La vera e propria costruzione del tempio si deve al suo successore Antonino Pio. L'edificio fu terminato intorno al 145.


Fontana di Trevi


Questa fontana sorge nel rione Trevi. Ed è la Mostra terminale dell’acquedotto Vergine - unico degli acquedotti antichi (19 a.C.) ininterrottamente in uso fino ai nostri giorni. E’ la più nota delle fontane romane e la più famosa nel mondo per la sua scenografica monumentalità.

Documentata nel medioevo, la sua denominazione deriva da un toponimo in uso nella zona già dalla metà del XII secolo (regio Trivii), oppure dal triplice sbocco dell’acqua dell’originaria fontana.

Nel 1640 per volontà di papa Urbano VIII (1622-1644), in concomitanza con l’ampliamento della piazza, Gian Lorenzo Bernini progetta una nuova fontana orientata come l’attuale, la cui costruzione si limita alla messa in opera di un basamento ad esedra con una vasca antistante, addossato agli edifici poi inglobati nel palazzo Poli.

La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso al quale partecipano i maggiori artisti dell’epoca. Il pontefice sceglie tra i progetti dell’architetto Nicola Salvi (1697-1751) quello più monumentale e "di minor pregiudizio per il retrostante palazzo" sulla cui facciata si inserisce l’intera mostra con uno studio meditato delle proporzioni e delle decorazioni.

 

La fontana, articolata come un arco di trionfo, con una profonda nicchia, digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante e dallo scorrere spettacolare dell’acqua. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. Si fondono così magistralmente nell’opera del Salvi storia e natura intese in un rapporto dialettico, quale veniva affermato dal nascente illuminismo.

La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.

 

Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (ad esso è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l'ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014 grazie a FENDI, concludendosi dopo diciassette mesi nel 2015, con inaugurazione il 3 novembre.




Piazza Mignatelli

In piazza Mignanelli, a pochi passi dalla Scalinata di Trinità dei Monti, si trova la colonna dedicata al dogma dell’Immacolata Concezione, inaugurata l’8 dicembre 1857.

Fu rinvenuta nel 1777 nel convento delle Benedettine di S. Maria in Campo Marzio, e a causa della sua fattura incompleta, si constatò che probabilmente non era mai stata utilizzata e forse giaceva ancora nei resti di una officina marmoraia. Rimase accantonata nei pressi di Palazzo Montecitorio per circa ottant’anni, fino al 1854, quando Papa Pio IX decise di innalzare un monumento in onore della Vergine, successivamente alla promulgazione del dogma.

I lavori furono finanziati da Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, come gesto simbolico di riconciliazione con la Chiesa, e affidati all’architetto Luigi Poletti, che ideò un’opera alquanto elaborata.

La colonna di cipollino venato, alta circa 12 metri con un diametro di quasi 1 metro e mezzo, poggia su un basamento in marmo, che reca quattro bassorilievi che ricordano l'Annunciazione, il sogno di S. Giuseppe, l'incoronazione della Vergine e la promulgazione del dogma, e ai cui angoli sono presenti le statue dei profeti Mosè, Isaia, Ezechiele e David. In alto, gli emblemi degli evangelisti su un capitello sorreggono il globo terrestre e la luna, su cui si eleva l’imponente statua bronzea della Vergine, alta 4 metri, opera dello scultore Giuseppe Obici.

 

L’innalzamento della colonna fu opera di 220 pompieri, che diedero vita alla tradizione con cui, ogni anno, i vigili del fuoco rendono omaggio alla Vergine con una ghirlanda di fiori freschi in occasione dell’8 dicembre.



Trinità dei Monti

La chiesa della Ss. Trinità dei Monti, fu consacrata nel 1585 dal pontefice Sisto V. Questa venne costruita con le pietre provenienti dalla città francese di Narbonne, per espresso volere di re Luigi XII. A seguito della costruzione della strada che collegasse il Pincio con la basilica di S. Maria Maggiore, il piano stradale era divenuto decisamente inferiore rispetto all’ingresso del convento e della chiesa a causa dei sbancamenti che furono necessari per livellare il tracciato. Per ovviare al problema l’architetto progettò e costruì la scalinata a due rampe convergenti che conduce alla chiesa: i pilastri alle due estremità della scala presentano lo stemma della famiglia Peretti, i tre monti, e, sopra a due bellissimi capitelli risalenti al XVII secolo, due erme con bassorilievi raffiguranti S. Luigi, in onore di re Luigi XII.

Dinanzi alla chiesa è collocato l’obelisco Sallustiano, portato a Roma quasi certamente da Aureliano e da questi fatto collocare all’interno degli Horti Sallustiani (dai quali prende il nome). L’obelisco, alto metri 13,91, di granito rosso, è egizio-romano perché fu inciso anticamente a Roma con iscrizioni mal ricopiate dal monolite di piazza del Popolo. 




Al centro di piazza di Spagna, ai piedi della scenografica Scalinata di Trinità dei Monti, sorge la fontana realizzata tra il 1626 e il 1629 da Pietro Bernini, padre del celebre Gian Lorenzo, del quale non si esclude l'intervento.

Fu commissionata da Papa Urbano VIII Barberini, il quale mise in atto un progetto del 1570, relativo alla costruzione di fontane pubbliche nelle piazze principali di Roma attraversate dall’antico Acquedotto Vergine ristrutturato. L’acquedotto dell’Acqua Vergine aveva una pressione troppo bassa per permettere la realizzazione di zampilli o cascate. L’inconveniente fu risolto grazie alla magistrale idea di una fontana che sembrasse una barca immersa nell’acqua, posta al di sotto del piano stradale.

La Fontana della Barcaccia deve il nome proprio all’originale disegno ideato dal Bernini, il quale progettò un’opera quasi scultorea, dalle linee ondulate, completamente innovativa rispetto a quelle realizzate fino ad allora in città, ispirandosi a un’imbarcazione. Il tema del monumento è ripreso dall’alluvione del 1598, che permise alle barche di arrivare fino al luogo dove si trova ora la fontana. L’insolita vasca a forma di barca riceve l’acqua versata da un catino centrale allungato e da due grandi soli, posti internamente a prua e poppa dello scafo. Dai lati, realizzati in modo da dare la percezione che la barca stia affondando, l’acqua trabocca nell’ampio bacino sottostante, in cui, delle bocchette di finte cannoniere, sui lati esterni a prua e poppa, versano zampilli d’acqua, incorniciando gli stemmi papali con le tre api, simbolo della famiglia Barberini.


Piazza del Popolo

Piazza del Popolo è l’anticamera urbana tra le più belle al mondo, posta al vertice di un triangolo di vie noto come il Tridente (via del Babuino – via del Corso – via di Ripetta),  e costituisce il più grandioso accesso al cuore di Roma. La porta, attraverso la quale si accede a questo “salotto”, è l’antica porta Flaminia delle Mura Aureliane, così denominata perché da qui usciva l’antica via Flaminia che iniziava dalla porta Fontinalis delle Mura Serviane e si dirigeva verso ponte Milvio. È opportuno rammentare che ai tempi di Augusto il tratto urbano della via Flaminia era denominato “via Lata” (attuale via del Corso), mentre già dal Medioevo si chiamava “via Lata” il tratto che dalla porta Fontinalis giungeva all’altezza dell’attuale piazza Colonna, mentre la parte restante, fino ed oltre la porta del Popolo, era la via Flaminia (che oggi invece inizia oltrepassata la porta).

 

Sull’origine del toponimo della piazza vi sono diverse supposizioni: anticamente si diceva che il nome derivasse dai numerosi pioppi   e dall’Augusteo si estendevano fin qui, ma probabilmente il toponimo è legato alle antiche origini di S. Maria del Popolo. Nel Medioevo sorse una leggenda secondo la quale, su un noce gigantesco, alle falde del Pincio, cresciuto sul luogo ove erano sepolte le ceneri di Nerone, si aggirasse lo spirito indiavolato dell’imperatore. Pasquale II, stufo del fantasma, fece segare il noce ed in quel luogo edificò una chiesa dedicata alla Vergine (1099).


Basilica di Santa Maria in Montesano nota come chiesa degli Artisti


  Basilica di Santa Maria  dei Miracoli


Al centro della piazza si innalza l’obelisco detto “Flaminio”, alto metri 23,20 e recante i geroglifici di Seti I (1318-1304 a.C.), definito “colui che riempie Eliopoli di obelischi perché i loro raggi possano illuminare il tempio di Ra“. Fu il primo obelisco ad essere trasferito a Roma, al tempo di Augusto (nel 10 a.C.), per celebrare la conquista dell’Egitto: come simbolo del Sole, venne collocato nel Circo Massimo (dove 350 anni dopo sarà affiancato dall’Obelisco Lateranense) ed innalzato poi in piazza del Popolo, per ordine di Sisto V, il 25 marzo 1589. Ai suoi piedi si trovava la fontana del Trullo, opera di Giacomo Della Porta, oggi in piazza Nicosia: difatti, nel XIX secolo, la piazza fu completamente trasformata dal Valadier, il quale le conferì una scenografia quasi perfetta, con quella grandiosa forma ovale tra i due vasti emicicli, rivestì S. Maria del Popolo di una struttura neoclassica per adattare la sua facciata meridionale al resto della piazza e sostituì la precedente fontana del Trullo con la fontana dei Leoni, che si sviluppa intorno all’obelisco ed è costituita da quattro vasche rotonde di travertino, sormontate da altrettanti leoni di marmo bianco e di stile egizio, dalle cui bocche esce l’acqua a ventaglio.



La  fontana che rappresenta  la  Dea Roma attorniata dal Tevere, dall’Aniene e dalla lupa.

 

Più in alto si vede la bellissima e scenografica fontana-mostra dell’Acqua Vergine, costituita da una costruzione a due piani. Il piano inferiore presenta una parete con tre nicchie poco profonde, alle cui basi vi sono altrettante vaschette con uno zampillo centrale. Il piano superiore è formato invece da una loggia a tre archi preceduta da un colonnato: quattro colonne corinzie sono poste rispettivamente alle estremità della costruzione ed a ridosso dei due pilastri centrali di sostegno, mentre l’acqua sgorga da ampi zampilli all’interno delle tre arcate. 


L’odierna porta del Popolo fu commissionata da Pio IV a Michelangelo, ma il grande artista, ormai molto anziano, preferì passare l’incarico ad un suo seguace, Nanni di Baccio Bigio, che completò l’impresa tra il 1562 ed il 1565. La facciata si presentava con le quattro colonne provenienti dall’antica basilica di S. Pietro che inquadravano il grande ed unico fornice, sovrastato dalla grandiosa lapide e dallo stemma papale sorretto da due cornucopie; inoltre, due possenti torri di guardia quadrate avevano sostituito le preesistenti torri tondeggianti e tutto l’edificio coronato con merli coperti di elmo e corazza. Soltanto nel 1638 furono inserite, tra le due coppie di colonne, le due statue di Pietro e Paolo, scolpite da Francesco Mochi, che erano state rifiutate dalla basilica di S.    Paolo, mentre i due fornici laterali furono aperti nel 1887 dall’architetto Mercandetti, per esigenza di traffico: per quest’opera fu necessario demolire le due torri che fiancheggiavano la porta. 


Basilica di Santa Maria del Popolo

Poiché tale chiesa fu costruita a spese del popolo romano, ebbe la denominazione di “S.Maria o Madonna del Popolo, (toponimo che passò, poi, alla piazza che in origine era chiamata “del Trullo“, dalla fontana a forma di trullo che vi era posta nel mezzo. A metà del XIII secolo, all’antica chiesa fu annesso un convento affidato ai frati dell’Ordine Agostiniano, organizzato attorno a due chiostri, che si estendeva fin verso la metà dell’attuale piazza. Tra il 1816 ed il 1820 il vecchio convento venne demolito nel quadro di ristrutturazione di piazza del Popolo ed il nuovo convento, sul quale svetta il campanile quattrocentesco in laterizio con la caratteristica terminazione conica in cotto e quattro pinnacoli angolari in stile tardo-gotico, fu realizzato da Giuseppe Valadier. Nel 1472 la chiesa fu riedificata da papa Sisto IV della Rovere, con disegno di Baccio Pontelli, e poi nuovamente abbellita, al tempo di Alessandro VII, ad opera del Bernini e di Bramante. La facciata, rivestita con spesse lastre di travertino, è tripartita da due ordini di lesene che inquadrano tre portali: quello centrale è il maggiore, sormontato da un timpano triangolare all’interno del quale è situata una lunetta con una Madonna con Bambino di Andrea Bregno. Lo stemma della Rovere, posto sopra il portale, fu apportato da Gian Lorenzo Bernini nel 1655, in onore di papa Alessandro VII Chigi ed in occasione del rifacimento della chiesa.


Santa Maria del Popolo è uno degli edifici più significativi del Rinascimento romano, non solo per i suoi caratteri architettonici, ma anche per i dipinti e le sculture che custodisce.

La chiesa sorse nel Quattrocento da una piccola cappella, costruita per volontà di papa Pasquale II a spese del popolo romano, da cui prende il nome, e fu arricchita e modificata nel corso dei secoli per mano di valenti architetti e artisti, tra i quali Raffaello, Bernini, Lorenzetto e Caravaggio.

L'interno a tre navate, a croce latina con volte a crociera, conserva numerose opere d’arte e monumenti funerari.

Tra queste, la più importante è la Cappella Chigi, la seconda a sinistra, realizzata su progetto di Raffaello per il banchiere Agostino Chigi a partire dal 1513, e terminata soltanto tra il 1652 e il 1656, con l’intervento di Gian Lorenzo Bernini per volere di papa Alessandro VII Chigi.

Per la cappella, Raffaello realizzò i cartoni per i mosaici della cupola e il disegno per le tombe a piramide di Agostino Chigi e del fratello Sigismondo, eseguite successivamente da Lorenzetto, Raffaello da Montelupo e Bernini con alcune modifiche.

La Cappella Cerasi, nel transetto sinistro, vicino all’altare, ospita due capolavori di Caravaggio: la Crocifissione di San Pietro, realizzata intorno al 1601, e la Conversione di San Paolo, dello stesso periodo. Le due tele, dipinte ad olio, furono commissionate a Caravaggio nel settembre del 1600 dal proprietario della cappella, Tiberio Cerasi, tesoriere di papa Clemente VIII.

Ad Annibale Carracci fu invece affidata la pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine.

 

Si segnala, infine, la Cappella Della Rovere, realizzata dall’architetto Andrea Bregno, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, e decorata con magnifici affreschi attribuiti a Pinturicchio e alla sua bottega.






Cappella Cerasi

Assunzione della Vergine di Annibale Carracci


Caravaggio,  conversione di san Paolo


Crocifissione di San Pietro


Cappella Chigi, con la statua del Bernini




Pincio

La sistemazione del Pincio, anticamente chiamato anche “Collis Hortulorum“, il Colle degli Orti, per il gran numero di orti e vigne che ospitava, fu compiuta radicalmente nel 1811 da Pio VII, su progetto di Giuseppe Valadier. Gli ampi viali fiancheggiati da pini domestici, palme e querce sempreverdi divennero ben presto un posto alla moda per passeggiare.


La bella fontana, situata in asse col belvedere di piazzale Napoleone I, è la fontana del Mosè, costituita da un ampio bacino circolare con al centro una statua marmorea femminile, chinata sull’acqua nell’atto di raccogliere la cesta di vimini all’interno della quale vi è posto un bambino seminascosto dal fogliame. Il gruppo, che raffigura la leggenda del piccolo Mosè salvato dalle acque dalla figlia del Faraone, è collocato sopra una scogliera sulla quale si ergono tre zampilli. 


Un fascino particolare lo ha, indiscutibilmente, lidrocronometro  sistemato in via dell’Orologio, presentato all’Esposizione di Parigi nel 1867, dove riscosse molto successo.. Ideatore fu un eminente meccanico orologiaio, il monaco domenicano P. Giovanni Embriaco. L’orologio, collocato sopra una formazione rocciosa posta in mezzo ad un laghetto artificiale, è costituito da una torretta quadrangolare, con pareti in vetro, alla sommità della quale vi sono quattro quadranti di orologio, uno su ciascun lato. Tutto il complesso venne ideato dall’architetto Gioacchino Ersoch. L’orologio funziona mediante un meccanismo nel quale l’acqua dà impulso al pendolo e carica il movimento e le sonerie, riempiendo alternativamente due bacinelle.