Santa Maria in Calchera

La chiesa presenta una facciata a capanna decorata con lesene; al centro del registro inferiore si apre il portale barocco con frontone ad arco ribassato e colonne di ordine ionico. Il registro superiore ha una conformazione simile con l'inserimento di una finestra rettangolare in asse con il portale. Internamente presenta un'unica navata, sulla quale si aprono due cappelle per lato; la copertura è caratterizzata da una cupola ribassata in prossimità dell'ingresso, una a pieno centro in prossimità dell'altare e una volta a botte in corrispondenza dell'abside. L' architettura è impreziosita dagli stucchi che arricchiscono le lesene e i rispettivi capitelli.


Le origini della chiesa risalgono all'XI secolo con la dedicazione a S. Maria della Visitazione; nel 1125 il tempio è citato per la prima volta in una bolla papale. In una seconda bolla del 1148, l'edificio è documentato con la titolazione di S. Maria de Calcaria, da riferire verosimilmente alla sua collocazione nelle vicinanze di una cosiddetta "calcara", o "calchera", ossia una fornace utilizzata per la produzione della calce: alcuni documenti del X-XI secolo riportano infatti, tra i vari "locus calcariae" sparsi sul territorio urbano, anche la zona dove, a distanza di qualche decennio, sarebbe sorta l'originaria cappella. All'inizio del XIV secolo l'edificio è sottoposto a importanti rifacimenti commissionati dalla famiglia bresciana dei Calchera, residente nei pressi della cappella ormai divenuta chiesa. A breve, cedimenti strutturali e incuria rendono necessari ulteriori interventi di manutenzione, cosicché l'edificio è completamente ricostruito tra il XVI e il XVIII secolo. Significativa è la data "1687" riportata sull'altare ligneo nella prima cappella di sinistra, commissionato dalla famiglia Avoltori, che nel 1401 ottiene il patronato laico della chiesa e il cui ricordo sopravvive nello stemma tutt'oggi visibile sul coronamento dell'altare. Dell'antico edificio sopravvivono solo pochi lacerti nel muro esterno dell'abside.

 

Affacciata sulla piazzetta omonima prospicente a via Trieste, una delle vie più suggestive del centro urbano, la chiesa presenta una facciata a capanna molto semplice e sobria, decorata con lesene piatte e leggere. Nel registro inferiore, al centro, si apre il portale barocco con frontone ad arco ribassato e colonne di ordine ionico. Il registro superiore mostra una conformazione simile e l'inserimento di una finestra rettangolare in asse con il portale. L'assetto longitudinale interno si sviluppa lungo un'unica navata sulla quale si aprono due cappelle per lato molto rientranti rispetto al livello della muratura, probabilmente per l'adattamento dell'impianto settecentesco su quello a tre navate del la chiesa trecentesca. 

La copertura è caratterizzata da una cupola ribassata in prossimità dell'ingresso, una a pieno centro in prossimità dell'altare e una volta a botte in corrispondenza del abside, unica testimonianza percepibile dell'assetto originario. La sobria architettura è impreziosita dagli stucchi che arricchiscono le lesene e i rispettivi capitelli, a sottolineare la fitta trabeazione che corre lungo l'intero perimetro della navata. La decorazione plastico-pittorica, progettata e in parte realizzata dal noto pittore e decoratore bresciano Gaetano Cresseri (1870-1933), funge da cornice al ricco e prezioso patrimonio artistico, vero e proprio campionario della migliore produzione di ambito bresciano dall' inizio del XVI alla fine del secolo successivo, che annovera tra le altre la pala di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, con la Cena in casa di Simone il fariseo (1550-1554) e la poetica Messa di S. Apollonio di Gerolamo Romanino (1525 ca.).


Questa pala è di Callisto Piazza ed è datata 1525 e raffigura

la Visita di Maria ad Elisabetta

La tela è ulteriormente impreziosita dall'imponente altare marmoreo barocco dentro il quale è inserita, con colonne tortili e frontone spezzato ospitante una fastosa rappresentazione della colomba dello Spirito Santo.



Pala di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, con la Cena in casa di Simone il fariseo (1550-1554)



La poetica Messa di S. Apollonio di Gerolamo Romanino (1525 ca.).


Cappella della  Madonna del Camino. Trattasi di un affresco cinquecentesco staccato posto originariamente su un camino di una casa lungo gli spalti di Torrelunga, dietro il monastero di Santa Marta, luogo ancora oggi indicato come "Madonna del Camino". Le cronache dell'epoca narrano che nel pomeriggio del lunedì dell'Angelo del 1690 il proprietario della casa, un certo Antonio de Venturis, vide improvvisamente la Madonna del dipinto muovere gli occhi e impallidire, come oppressa da un grande dolore.

L'affresco fu subito circondato dalla devozione dei bresciani e nel 1754 fu restaurato e trasferito con tutti gli onori nella cappella dove ancora oggi si trova. Nell'occasione furono anche apposte, sulle teste della Madonna e del Bambino, due corone in metallo sbalzato, tuttora presenti. L'affresco è attribuibile a Luca Mombello.




Sopra l'ingresso laterale, è collocata la piccola tela con i 

Santi Girolamo e Dorotea adorano Gesù nel sepolcro 

del Moretto.



Madonna col Bambino e sant'Antonio da Padova 

Dipinto olio su tela di Antonio Paglia, databile al 1710.