Siena - parte terza


Palazzo Chigi-Saracini

Si tratta di uno dei più prestigiosi palazzi nobiliari cittadini, che oggi ospita una pregevole raccolta d'arte privata e la prestigiosa Accademia Musicale Chigiana.

Il nucleo più antico del palazzo, noto come "palazzo Marescotti", apparteneva alla famiglia Marescotti, ghibellina, e risale al XII secolo. Progressivamente l'edificio andò ingrandendosi inglobando altri edifici adiacenti. Entro la prima metà del Trecento, all'apice della fortuna economica e sociale cittadina, l'edificio aveva raggiunto le dimensioni attuali. Tra il Due e Trecento ospitò anche il consiglio dei Reggitori della Repubblica.

 

Nel XVI secolo, fu acquistato dalla famiglia Piccolomini del Mandolo, che lo ampliò, donandogli un aspetto rinascimentale con la realizzazione di decorazioni raffaellesche nel loggiato esterno e dopo il 1770 la famiglia Saracini allungò la facciata mantenendo lo stile trecentesco, aggiungendo anche la fila di trifore fino al vicolo di Tone. Il palazzo, per testamento di Alessandro Saracini, nel 1877 passò a Fabio Chigi che assunse il cognome Chigi Saracini Lucarini e lo lasciò al nipote Guido Chigi Saracini. La famiglia vi abitò fino al 1965. 

 

Il grande mecenate Guido Chigi Saracini fondò nel 1932 l’Accademia Musicale Chigiana, scuola di alto perfezionamento musicale, chiamando a Siena come docenti alcuni dei più importanti musicisti del tempo. 





Basilica di S. Francesco

La basilica di San Francesco è tra le più importanti chiese di Siena ed è situata in piazza San Francesco. Eretta nel XIII secolo in stile romanico fu ingrandita nei due secoli successivi nell'immensa struttura gotica attuale. Conserva al suo interno la pisside con le Sacre Particole.

I francescani arrivarono a Siena immediatamente dopo la morte di san Francesco d'Assisi, avvenuta nel 1226. Tra il 1228 e il 1255 si registra la costruzione di una prima chiesetta nel sito in cui ora sorge la basilica. L'edificio attuale fu costruito tra il 1326 e il 1475 in forme gotiche, ingrandendo una chiesetta preesistente. Nel 1655 un incendio rovinò la chiesa, lasciandola malridotta per oltre due secoli: vennero infatti attuati pessimi restauri e aggiunte barocche poco amalgamate. Nel 1763-1765 si provvide alla costruzione del campanile attuale, su progetto di Paolo Posi.

Le operazioni di restauro iniziarono alla fine del XIX secolo, quando Giuseppe Partini ripristinò l'interno (1885-1892) e Vittorio Mariani e Gaetano Ceccarelli sostituirono la malridotta facciata medievale con quella attuale (1894-1913).

Il miracolo delle Sacre Particole

 

Il 14 agosto 1730 venne rubata dalla basilica una pisside con 351 particole (ostie) consacrate. Tre giorni dopo, il 17 agosto, le particole vennero ritrovate nella cassetta delle elemosine della vicina Collegiata di Santa Maria in Provenzano (non si conoscono i motivi del furto, né della restituzione da parte del ladro). Durante la messa, al momento dell'elevazione, un chierichetto si fermò davanti a una cassetta per elemosina e scorse del bianco; aperta, vi furono trovate le ostie. Per motivi igienici venne deciso di non consumare le particole, in quanto la cassetta in cui vennero ritrovate era piena di polvere e ragnatele. Le ostie vennero riportate il giorno dopo con una grande processione in San Francesco. I fedeli chiesero di conservare le particole per poterle adorare a fini riparatori. Le ostie vennero messe prima in un corporale poi, dopo la visita canonica del Padre Generale, in una nuova pisside fatta sigillare. Dopo circa trent'anni, la pisside fu aperta e si constatò che le ostie erano integre e intatte; non ci si pose il problema, fu chiusa e posta nel tabernacolo. Circa 12 volte fu fatta questa operazione. Dopo oltre 280 anni le particole sono ancora integre, a dispetto della loro normale natura a ridursi in poltiglia e polvere entro circa due anni. Nel 1914, al momento della riapertura, ci si meravigliò che le ostie fossero ancora intatte. Analisi chimiche e biologiche effettuate nel 1914 dimostrarono come le particole erano ancora composte da farina di pane azzimo, inalterate nell'aspetto, prive di batteri, acari e muffe, che invece avevano attaccato le pareti interne della pisside che le conteneva. Si gridò al miracolo. La Chiesa cattolica attribuisce questo fenomeno soprannaturale alla reale presenza del corpo di Gesù Cristo nelle particole consacrate, in accordo con il dogma eucaristico. Questo viene considerato dai credenti cattolici un miracolo permanente, in quanto le ostie non appaiono deteriorate lungo i secoli. Le particole sono conservate in inverno e in estate in due cappelle diverse all'interno della basilica, rispettivamente nel transetto destro e sinistro. Delle 351 particole originarie ne sono rimaste poco più di 200, "non perché - come scrive Vittorio Messori - quelle che mancano siano state distrutte dal tempo ma perché, fra le tante 'prove' eseguite, ci fu anche il comunicare con esse delle persone che ne saggiassero il gusto. Che è risultato, esso pure, non alterato". Il 10 settembre 2014, a cento anni dall'ultima analisi, è stata effettuata una nuova ricognizione sulle ostie, che «conferma che le sacre particole conservate nella basilica di San Francesco, a Siena, si stanno ancora mantenendo miracolosamente intatte, contro ogni legge naturale"


Facciata

 

La chiesa medievale gotica del 1326-1475 aveva una facciata coperta di fasce di marmo bianche e verdi, nello stile delle pareti laterali esterne del Duomo di Siena, un portale quattrocentesco di Francesco di Giorgio Martini e un rosone dello stesso autore. I lavori di restauro intrapresi alla fine del XIX secolo portarono alla sostituzione di tale facciata, ormai rovinata, con quella attuale in stile neogotico, fatta con laterizi e assai sobria. Tra le poche decorazioni si trovano un portale cuspidato in marmo che raffigura, nella lunetta, San Francesco e san Bernardino in adorazione della Vergine col Bambino due angeli ai lati e, in cima alla cuspide, il Cristo con la croce. Ai lati del rosone si trovano i simboli dei quattro evangelisti. Gli stemmi disseminati sulla facciata, anch'essi in marmo, rappresentano la città di Siena e le famiglie che hanno contribuito al mantenimento e restauro della chiesa. Il rosone è l'unico elemento antico, ereditato dalla facciata quattrocentesca di Francesco di Giorgio Martini. 


Interno

L'edificio presenta una pianta a croce egizia, con unica navata ampia coperta a capriate e senza cappelle sporgenti, un transetto anch'esso coperto a capriate e molte cappelle voltate a crociera su entrambi i lati, tutte terminanti con una parete piatta piuttosto che semicircolare. Essendo la pianta a croce egizia manca un coro ed un'abside, sostituito da una cappella centrale simile alle altre del transetto, se si eccettua la maggiore dimensione. Tale pianta seguiva lo schema dell'architettura cistercense ed era un semplificato modello architettonico degli ordini mendicanti, che mirava ad un tempo a creare un ambiente di estese dimensioni, estremamente adatto alla predicazione ad una vasta folla di fedeli, e dall'altro ad eliminare gli eccessi decorativi.

Tutte le pareti interne sono caratterizzate da fasce di marmo bianco e verdi, sull'esempio del Duomo della stessa città. In seguito all'incendio del 1655 e al ripristino ottocentesco, l'ambiente interno è cambiato molto rispetto al passato, appare quasi disadorno, nonostante la recente ricollocazione dei dipinti originariamente ubicati negli altari barocchi demoliti nel XIX secolo. La proiezione verticale della navata è a due fasce con altari nella prima e finestre gotiche con vetrate nella seconda, bifore lungo la navata e una grande quadrifora absidale. Tali vetrate sono ben 36, in tutta la chiesa, e furono fatte dalla vetreria F. Zettler di Monaco di Baviera intorno al 1885-1890. Di queste, 25 sono state rifatte dalla stessa vetreria poco dopo la seconda guerra mondiale, essendo state distrutte dai bombardamenti.

Controfacciata

In controfacciata si conservano i resti di due sepolcri trecenteschi e, in alto, due grandi affreschi frammentari staccati rispettivamente da Porta Romana e Porta dei Pispini: l'Incoronazione della Vergine, iniziata dal Sassetta nel 1447 e terminata da Sano di Pietro nel 1450 (a sinistra), e la Natività di Cristo eseguita dal Sodoma nel 1531 (a destra).

Lato sinistro della Navata

 

Numerose sono le opere di questo lato della navata. Degno di nota è il portale rinascimentale che si incontra all'inizio della navata. Fu disegnato da Francesco di Giorgio Martini intorno al 1450 per la facciata esterna e qui trasferito dopo i restauri dei secoli XIX-XX (il dipinto ad olio su legno raffigurante San Padre Pio è opera moderna di Ezio Pollai del 1996). Interessanti sono anche i bassorilievi in marmo raffiguranti la benedizione della prima pietra e, più avanti, San Francesco che benedice gli uccelli e San Francesco che appare a Gregorio IX, tutte opere di fine-Duecento recuperate dalla vecchia chiesa romanica e murate su questa parete. Al termine della parete troviamo un affresco staccato raffigurante la Crocifissione di Girolamo di Benvenuto (fine XV-inizio XVI secolo).  Le sei pale sono opere di pittori dei secoli XVI-XVII inclusi Alessandro Casolani e Ilario Casolani, Jacopo Zucchi, Pietro Sorri, Pietro da Cortona, un pittore vicino a Deifebo Burbarini, e Dionisio Montorselli

Lato destro della navata

All'inizio del lato destro della navata è presente, entro una lunetta, una Visitazione e santi di pittore senese del primo Quattrocento. Più avanti si vedono in un nicchione altri frammenti di affreschi attribuiti ad Andrea Vanni (seconda metà del XIV secolo) in cui si riconoscono Santa Caterina d'Alessandria, Santa Margherita, San Gherardo, Santa Chiara, San Giovanni Battista e San Francesco che riceve la stimmate.

Alla fine della parete il crocifisso ligneo della fine del Duecento è una delle opere più antiche della chiesa, sopravvissuto miracolosamente all'incendio del 1655.

Le tre tele sono opere minori dei secoli XVI-XVII di Giuseppe Nicola Nasini, Giovan Battista Ramacciotti, ed Alessandro Casolani insieme a Vincenzo Rustici.

 

Dopo il portale laterale è presente la tomba dei Tolomei, qui trasportata dall'esterno; una lastra nel pavimento è additata tradizionalmente come tomba di Pia de' Tolomei








Il Convento

Il convento di San Francesco venne eretto nel XV secolo e ingrandito nel 1518. Dopo la secolarizzazione è stato adibito a sede della facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Siena e della Biblioteca del circolo giuridico, che vanta oltre 177.000 volumi e opuscoli, 1000 cinquecentine e numerosi manoscritti. 



S. Maria in Provenzano

È intitolata al mistero della Visitazione della Beata Vergine Maria a santa Elisabetta ed è il Santuario nel quale si conserva l'immagine della Madonna di Provenzano, venerata sotto il titolo di Advocata nostra e in onore della quale ogni anno, il 2 luglio, si corre il celebre Palio.

In stile manierista, è uno dei primi edifici costruiti a Siena all'indomani del Concilio di Trento. L'impianto liturgico e architettonico rispecchiano infatti i moduli richiesti dalla Controriforma.

Sorge nel rione chiamato Provenzano, dal nome del celebre condottiero militare senese del secolo XIII.  Provenzano Salvani, citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia. In quest'area vi erano le case appartenenti alla sua famiglia.

La leggenda che si è tramandata narra che sul muro esterno di una delle case del rione fosse collocata un'immagine in terracotta smaltata raffigurante il tema della Pietà, lì collocata secondo la tradizione popolare da santa Caterina da Siena.

Nel 1552 accadde che un archibugiere spagnolo, forse per una bravata, tentò di sparare contro l'immagine sacra, ma il suo archibugio scoppiò e, secondo il racconto popolare, finì per uccidere il soldato stesso, lasciando integro il busto della Madonna, distruggendone però le braccia e il resto dell'immagine. La scultura divenne subito un simbolo: fu oggetto di grande venerazione da parte del popolo, inizialmente in riparazione al gesto sacrilego e in seguito perché alla Madonna vennero attribuiti diversi miracoli, riconosciuti nel 1594, chiamato proprio l'"anno dei miracoli". Proprio in quella data, grazie all'approvazione di papa Clemente VIII e delle Magistrature civiche senesi, si decise di costruire un nuovo grande santuario, all'interno del quale si potesse custodire la sacra immagine: i lavori di costruzione iniziarono il 24 ottobre 1595, quando vennero murate le fondazioni.

I lavori terminarono nel 1604. La chiesa fu dedicata con sacro rito e aperta al culto il 16 ottobre 1611 dall'arcivescovo di Siena Camillo Borghesi. Il 23 ottobre successivo, con una solenne processione che attraversò tutte le vie di Siena, venne traslata all'interno del santuario la venerata immagine della Madonna di Provenzano. Al nuovo tempio era stato affidato il titolo della Visitazione della Beata Vergine Maria a S. Elisabetta.

Nel 1614, con decreto granducale, venne istituita l'Opera di Santa Maria in Provenzano, presieduta da un rettore laico, con il compito di amministrare i beni del santuario e provvedere alle necessità di culto.

La grande devozione alla Madonna di Provenzano fece del santuario il vero e proprio cuore della fede cittadina. Nel 1634 papa Urbano VIII concesse al santuario il titolo di "Insigne Collegiata", officiata da un capitolo di canonici, presieduto da un preposto. In tutto il territorio dell'arcidiocesi senese il capitolo di Provenzano doveva essere secondo in dignità solo al capitolo della Cattedrale Metropolitana. Oggi l'Insigne collegiata di Santa Maria in Provenzano, oltre a rimanere importante santuario mariano cittadino, è sede anche dell'omonima parrocchia, eretta nel 1988 dall'arcivescovo Mario Ismaele Castellano in seguito alla soppressione delle tre antiche parrocchie di San Pietro a Ovile, San Cristoforo e San Donato in San Michele all'Abbadia.

L'edificio ha pianta a croce latina, unica navata con cupola ottagonale con tamburo all'incrocio del transetto, e facciata in travertino tripartita da lesene, divisa in due piani da un cornicione molto sporgente e culminante in un timpano centrale e due volute laterali.

 

L'impianto architettonico risponde in tutto ai criteri del manierismo cinquecentesco romano, immediatamente successivi al Concilio di Trento, che aveva dettato precise norme in merito alla costruzione delle chiese e alla disposizione degli arredi sacri. 



Il 2 luglio 1656 venne corso per la prima volta un Palio in onore della Madonna di Provenzano, tradizione che si è mantenuta fino ai giorni nostri.

Nel Drappellone, la preziosa stoffa dipinta su commissione del Comune di Siena e data in premio alla Contrada vincitrice, viene sempre raffigurata l'effigie della Madonna di Provenzano, nonostante che il tema del Palio possa essere tra i più vari.

Secondo quanto stabilisce il Regolamento del Palio di Siena, «Il Drappellone è solennemente trasportato, per il Palio del 2 luglio nella chiesa di Santa Maria in Provenzano e vi rimane esposto fino a quando deve venire issato sul Carroccio, per il Corteo Storico». Ciò significa che nel pomeriggio del 1º luglio, prima della prova generale e alla vigilia della festa, le Autorità cittadine e le Contrade vengono a rendere omaggio alla Madonna di Provenzano, portando in corteo il Drappellone. Dopo il saluto e la benedizione alla Città, viene intonato l'antico inno del Maria mater gratiae e il Drappellone viene issato su un pilastro destro della cupola, dove viene conservato fino alla tarda mattina del 2 luglio, dopo la S. Messa solenne nel giorno della festa, per essere riportato in Palazzo Pubblico ed esposto sul Carroccio durante il Corteo storico.

 

Dopo aver vinto il Palio, la sera del 2 luglio, i contradaioli vittoriosi si recano presso la Collegiata, portando il Drappellone in segno di ringraziamento alla Madonna, e intonano l'inno Maria mater gratiae, popolarmente chiamato Te Deum



Chiesa di San Cristoforo

La chiesa di San Cristoforo si trova in piazza Tolomei.

L'edificio, con pianta a croce latina, risale all'XI-XII secolo. La sua antichità e importanza è attestata dai documenti medievali che testimoniano come fosse utilizzata dalle Magistrature comunali come sede delle loro più importanti istituzioni. Prima della costruzione del Palazzo Pubblico in Piazza del Campo, nella chiesa di San Cristoforo vi si riuniva anche il Consiglio Generale della Repubblica, detto anche "di Campana", per il fatto che veniva convocato col suono di una particolare campana oggi conservata nel Museo Civico. Fu proprio in San Cristoforo infatti che nel 1260 i Senesi decisero di muovere battaglia ai Fiorentini che minacciavano la Città quasi fin sotto le sue porte, combattendo e vincendo la celebre battaglia di Montaperti (4 settembre 1260).

Dal 1796 al 1945 la chiesa di San Cristoforo è stata anche la sede della Contrada Priora della Civetta, la quale a tutt'oggi conserva il patronato sul primo altare di destra, intitolato appunto a Sant'Antonio di Padova, compatrono della Contrada.

Oggi la chiesa di San Cristoforo è giuridicamente configurata come Rettoria autonoma, custodita dalle suore Figlie della Chiesa e utilizzata per le attività liturgiche e pastorali degli studenti universitari.

Sia nella struttura esterna che nella decorazione interna la chiesa è stata più volte rimaneggiata nel corso dei secoli. La parte più antica, di epoca romanica, è riscontrabile in alcune tracce esterne dei muri perimetrali e nella parte absidale. La trasformazione più consistente risale tuttavia al 1798, allorché la chiesa fu gravemente danneggiata dal terremoto che colpì Siena in quell'anno. L'antica facciata crollò completamente e l'edificio fu ridotto di lunghezza. Nel 1800, per munificenza dei Conti Tolomei, il cui palazzo sorge di fronte, fu costruita la nuova facciata in forme neoclassiche, scandita da quattro colonne sovrastate da un timpano con trabeazione, opera di Tommaso e Francesco Paccagnini. La facciata si presenta oggi in laterizio, ma era inizialmente ricoperta d'intonaco verniciato, secondo il gusto dell'epoca. Le due statue nelle nicchie raffigurano San Bernardo Tolomei e la Beata Nera Tolomei, opere di Giuseppe Silini (1802). Un ultimo restauro, che ha interessato soprattutto all'interno l'area del presbiterio, è stato eseguito negli anni '90, con l'adeguamento alle attuali normative liturgiche.

Nell'interno, a navata unica e dotato di cupola, spiccano la Madonna col Bambino e i santi Luca e Romualdo di Girolamo del Pacchia (1508 circa), l'affresco con la Pietà e i simboli della Passione di Martino di Bartolomeo, e il gruppo marmoreo sull'altare maggiore, raffigurante il Transito di san Benedetto di Giovanni Antonio Mazzuoli (1693), proveniente dal monastero olivetano di San Benedetto ai Tufi, soppresso dal governo napoleonico nel 1808 e poi distrutto; è l'unica testimonianza artistica rimasta dell'antico cenobio fondato da San Bernardo Tolomei, dove egli morì contagiato dalla peste nel 1348.

 

Gran parte del patrimonio artistico della chiesa di San Cristoforo è oggi conservato presso il Museo Diocesano d'arte sacra.



Museo Diocesano e oratorio di S. Bernardino

La struttura architettonica dell’Oratorio di S. Bernardino, risalente ad epoca tardo medievale è stata completamente ristrutturata nel corso del Cinquecento. Si tratta di un luogo assai suggestivo, uno degli spazi museali più interessanti a Siena, capace di offrire, a partire dal XIII secolo, una panoramica complessiva della produzione pittorica senese, accogliendo, dal 1999, in alcuni locali adiacenti, il Museo Diocesano di Arte Sacra. L’edificio, nato per ospitare la Confraternita di Santa Maria e San Francesco, nel XVI secolo fu intitolato al frate Bernardino Albizzeschi, canonizzato nel 1450, che sovente teneva le sue infervorate prediche nella piazza antistante. La sobria facciata a capanna in laterizio è impreziosita da un elegante portale in travertino datato al 1574, mentre in alto è posto il simbolo di Bernardino: un sole con dodici raggi al centro del quale si iscrivono le tre lettere JHS, abbreviazione di Jesus hominum salvator: Gesù salvatore degli uomini. Nucleo centrale del museo rimane la splendida cappella dell’oratorio superiore intitolata a Santa Maria degli Angeli  e completamente affrescata agli inizi del Cinquecento da Domenico Beccafumi, Giovanni Antonio Bazzi detto il "Sodoma" e Girolamo Pacchia. 

Collezione

Nella piccola sacrestia dove va segnalata la tavola cinquecentesca di Domenico Beccafumi con il Cristo Portacroce, ancora con l’originale cornice realizzata ad intaglio da Giovanni Barili. Nella sala a sinistra delle scale sono esposti alcuni capolavori dell’arte senese del XV secolo. Pregevole la tavola con il Crocifisso di Giovanni di Paolo proveniente dalla chiesa di S. Pietro a Ovile, e la folgorante e fulgida Annunciazione di Matteo di Giovanni, anch’essa realizzata per la stessa chiesa e riecheggiante la più antica tavola d’altare dipinta da Simone Martini per il duomo di Siena, oggi custodita agli Uffizi. A Sano di Pietro è invece da attribuire la suggestiva tavola con San Giorgio e il drago dove la figura eroica del cavaliere, insieme al suo bianco destriero, riempie l’intero spazio dipinto.

 

Accedendo alla saletta successiva possiamo ammirare numerosi dipinti su tavola databili tra il XIII e il XIV secolo ad opera di artisti quali il Maestro di Tressa, Segna di Bonaventura, Bartolomeo Bulgarini, Andrea Vanni e Taddeo di Bartolo, oltre all’affresco di Pietro Lorenzetti con il Cristo risorto proveniente dal convento di S. Francesco. Ad Ambrogio Lorenzetti è invece riferibile la tenera e dolcissima Madonna del Latte, capolavoro assoluto della pittura del Trecento.



Oratorio superiore

Nucleo centrale del museo rimane la splendida cappella dell’oratorio superiore, intitolata a Santa Maria degli Angeli, e è costituita da un’unica sala rettangolare con soffitto a cassettoni, dove per ogni riquadro, di colore azzurro, è inserito un cherubino in cartapesta dorata. Il lavoro del soffitto, nel 1496, fu affidato a Maestro Ventura di ser Giuliano detto Turapilli che vi lavorò fino al 1512. Alla decorazione pittorica di questo ambiente concorsero prestigiosi artisti attivi a Siena nella prima metà del Cinquecento quali Girolamo Pacchia (Siena, 1477 - post 1533), Giovanni Antonio Bazzi detto il "Sodoma" (Vercelli, 1477 - Siena, 1549) e Domenico Beccafumi (Siena 1486 - 1551). Il programma iconografico presente nelle scene che si articolano lungo le pareti dell’oratorio, con Storie della vita della Madonna, si propone di celebrare l’Assunzione della Vergine in anima e corpo.









Oratorio inferiore

La straordinaria collezione del Museo Diocesano, fondamentale per comprendere la storia dell’arte sacra del territorio, raduna una serie di capolavori di inestimabile valore che vanno dal XIII al XIX secolo e che provengono dalle chiese della diocesi senese. La sala quadrata dell’oratorio inferiore, presenta una volta blu stellata al centro della quale Arcangelo Salimbeni eseguì l’affresco con La Vergine che protegge Siena, san Bernardino e santa Caterina, portato a termine nel 1580 da Francesco Vanni. Le lunette appena sotto il soffitto, con Storie della vita di san Bernardino, vennero affrescate nella prima metà del Seicento da alcuni artisti locali quali Ventura Salimbeni, Rutilio e Domenico Manetti, Crescenzio Gambarelli, Bernardino Mei e Deifebo Burbarini. Tra i dipinti esposti nella sala vale la pena ricordare l’elegante tavola di Sano di Pietro con la Madonna col Bambino e la tela di Ventura Salimbeni con la Madonna e Dio Padre. 







Basilica di  S. Maria dei Servi

Uno dei capolavori del Medio Evo senese. La chiesa di Santa Maria dei Servi sorge sul colle dominante la Valdimontone dove un tempo si trovava l'antica chiesa di S. Clemente, rinnovata dai Serviti a partire dalla fine del Duecento.

La chiesa prese così il nome esteso di S. Clemente in Santa Maria dei Servi. Le vicende della chiesa sono lunghe e complesse; essa fu ingrandita nel secolo successivo: nel 1416 la scala venne eliminata a favore della 'piaggia' che ancora oggi introduce all'ingresso principale; la chiesa venne poi radicalmente trasformata, secondo un impianto rinascimentale, a tre navate, tra il 1471 ed il 1527. La sua consacrazione avvenne nel 1533, anche se, cosa comunque frequente nelle chiese toscane, la facciata non fu mai del tutto completata.

Alla semplice facciata, ove emergono i segni dei rifacimenti, s'accompagna un poderoso e bel campanile della fine del Duecento, ampiamente restaurato e rifatto in parte nel 1926. Ancora visibili, al di sopra della prima cappella destra, resti di affreschi di ricordo lorenzettiano (Paradiso e Inferno).

Nel suggestivo e maestoso interno, a croce latina, le semplici colonne in marmo bianco scandiscono il ritmo dell'interno. Dopo pochi passi, nel secondo altare della navata destra, la bellissima e celebre tavola detta la Madonna del Bordone che fu dipinta dal fiorentino Coppo di Marcovaldo nel 1261, quando era prigioniero dei senesi, dopo la battaglia di Montaperti. Tradizionalmente si vuole che questa tavola fosse il riscatto di Coppo. Comunque sia, la veste della Vergine e la su posizione iconografica furono un punto di riferimento importante nella grande produzione delle ''Madonne senesi''.

 

Nel terzo altare, sempre a destra, spicca una bella Natività della Madonna del pittore barocco senese Rutilio Manetti. Nel quinto altare, una tragica Strage degli Innocenti del quattrocentesco di Matteo di Giovanni; è questo un tema molto amato dal pittore che ce ne offre altre tre versioni: una al Duomo, una nella Sala del Mappamondo e una oggi al Museo di Capodimonte. Notevole la descrizione cruda dei corpi degli infanti e la rappresentazione malefica di Erode.



La tavola rinascimentale di Bernardino Fungai raffigurante L'Incoronazione della Madonna.


Croce dipinta trecentesca la cui attribuzione oscilla tra Niccolò di Segna e Ugolino di Nerio, entrambi pittori di fronda duccesca.


Madonna con Bambino di Lippo Memmi


Strage degli Innocenti,  affresco trecentesco di Niccolò di Segnai



Annunciazione della Madonna di Francesco Vanni del 1588.




La Madonna del Manto, dipinta da Giovanni di Paolo, nel 1436.



Madonna del Bordone, unica opera firmata di Coppo di Marcovaldo del 1261. Fu dipinta dall'artista fiorentino catturato dai senesi in seguito alla battaglia di Montaperti (1260) per permettere la propria liberazione. Il volto della Madonna fu rifatto da un'artista seguace di Duccio di Buoninsegna.