Chiesa di Santa Maria del Carmine

La maestosa chiesa che si impone nel reticolato di angusti vicoli che caratterizza l'intero quartiere, venne edificata per soddisfare le nuove esigenze di culto dei Carmelitani che si erano insediati in città già dal 1346. Si era sempre ritenuto che la costruzione del nuovo edificio, iniziata nel 1429, fosse avvenuta parallelamente alla demolizione del vecchio, mentre recentemente si è fatta strada l'ipotesi che si debbano riconoscere le mura perimetrali della prima chiesa trecentesca nell'attuale sacrestia. I lavori, guidati almeno nella fase iniziale da Montesonus de Cremona inzignerius, terminarono solo attorno al 1470, anche se già dieci anni dopo si procedette all'allungamento della zona presbiteriale e alla costruzione del campanile a cui, nel 1499, si aggiunse la cella campanaria dalle chiare forme rinascimentali. Dal 1470 al 1482 fu costruito il chiostro maggiore, mentre il minore venne edificato nel corso del secolo successivo. Gli interventi più importanti sulla struttura originaria vennero però eseguiti nel corso dei secoli XVII e XVIII con la chiusura del rosone in facciata e l'apertura di una finestra semicircolare, la trasformazione a botte delle volte delle navate e del coro, l'apertura di nuove e più ampie finestre lungo le navate laterali, le decorazioni a stucco e gli affreschi nella navata centrale e nelle cappelle laterali. Nel 1797 il convento fu secolarizzato e tre anni dopo adibito a caserma. Questa chiesa venne persino occupata dall'Esercito durante la i Guerra Mondiale, al termine della quale si dette il via ad imponenti restauri. Una seconda campagna di interventi si effettuò dal 1974 al 1977, mentre a partire dal 1986 fino al 1994, si operò sugli affreschi del presbiterio e della navata centrale. 


Nonostante le vicende subite e i conseguenti restauri è ancora possibile riconoscere la struttura originaria che denota una continua mescolanza tra elementi tardogotici e aperture al nuovo linguaggio rinascimentale. Ciò è chiaramente visibile nella facciata a frontone spezzato, divisa in tre specchiature da lesene in cotto e pietra dove, nell'ampio portale centrale accanto alla strombatura, alla modanatura torica, ai capitelli a fascio e ai leoni stilofori, le decorazioni della fascia esterna, del pilastro che divide in due l'apertura e dell'architrave presentano elementi chiaramente classicheggianti. Parallelamente, nelle specchiature laterali, le lunghe monofore strombate e trilobate sono inquadrate da cornici in maiolica verde con un motivo rinascimentale a teste leonine e tralci vegetali. La facciata è solcata da una preziosa fascia di archetti intrecciati che si ripete lungo gli spioventi e tutto il lato orientale, sottolineando il ritmo spezzato della copertura a capanna delle singole cappelle. Queste due parti dell'edificio presentano una decorazione con slanciati pinnacoli in laterizio, richiamando il duomo di Mantova, l'abside di S. Fermo a Verona e il fianco meridionale del S. Eustorgio a Milano. L'interno a tre navate, scandite da possenti piloni con capitelli decorati, si conclude con un profondo coro. Lungo la navata orientale si aprono sette cappelle con volte a tutto sesto, eccetto la terza (cappella Averoldi) che conserva ancora l'originaria struttura a crociera, impreziosita dagli affreschi eseguiti dal Foppa nel 1477. Entrambe le navate si concludevano con due cappelle quadrate: quella di sinistra, oggi voltata a tutto sesto, è chiusa da un muro, mentre quella di destra è integra e conserva numerosi affreschi. La testimonianza più antica (1432), come attesta un'iscrizione nella fascia che la incornicia, è posta sulla parete ovest e raffigura il Miracolo di sant'Eligio. Il santo, affiancato da un cavaliere avvolto in un prezioso mantello, è curiosamente ritratto nell'atto di attaccare la zampa al cavallo indemoniato. A fianco, all'interno di una struttura marmorea, sono inserite due scene diverse: la prima con un'Annunciazione, la seconda con l'Incontro di san Francesco con un lebbroso, databili nello stesso arco di anni del precedente. Nel registro inferiore una teoria di Santi e Sante rivela, in pieno Quattrocento, soluzioni stilistiche attardate. Sulla parete di fondo, mutilata dall'apertura di una porta, è affrescato una sorta di polittico a muro raffigurante al centro la Vergine in trono col Bambino, Santa Lucia e san Cristoforo, ai lati un Santo vescovo e un'altra Madonna in trono. L'eleganza del panneggio e la delicatezza cromatica rimandano alla scuola di Bonifacio Bembo, a cui si rifanno anche le restanti raffigurazioni della parete con la mutila Trinità, la Madonna in trono con Bambino, e la Madonna del latte. La stessa paternità può essere proposta anche per una quarta Maestà affrescata nel registro superiore della parete orientale con riportata la data 1444. Essa si sovrappone ad un altro affresco lacunoso, ma di alto livello qualitativo, raffigurante San Cristoforo. L'opera dall'insolita tecnica esecutiva affine più al disegno che all'affresco vero e proprio, presenta il grande santo al centro con ai piedi un cavaliere armato. Anteriore dunque al 1444, ma posteriore al 1429 (inizio della costruzione della chiesa), rivela soluzioni miniatorie e, sia nell'elaborato panneggio che nella resa allungata delle figure, chiari rimandi all'opera di Michelino da Besozzo, di cui il nostro autore è stato uno stretto seguace.










Questa rappresentazione dell’Annunciazione è un dono di Guglielmo V duca di Baviera per i servizi offerti alla sua corte dal frate carmelitano bresciano Faustino Cattaneo. E’ del fiammingo Pieter de Witte, detto il Candido.

Si tratta di una grande pala (olio su tela, cm 400×250, firmata in basso a sinistra sulla predella dell’inginocchiatoio di Maria – P. CANDIDUS DVCIS BAVARIAE F. – ) suddivisa in due piani sovrapposti: nel piano superiore la colomba dello Spirito Santo irrompe luminosa da una nube sulla quale trova posto l’Eterno Padre benedicente, mentre ai lati un coro di angeli si dispone simmetricamente su balconate di nuvole; in quello inferiore viene rappresentato il momento dell’annuncio dell’angelo a Maria, ambientato in un interno delicatamente illuminato da una fonte di luce proveniente da destra e da un’apertura posta al termine di un corridoio centrale.




Sulle pareti laterali dell'abside si narrano le storie di Sant’Alberto da Trapani, figura prediletta dall’ordine carmelitano.




 

 

Questo è un prezioso organo barocco, costruito nel 1629-1630 da Tommaso Meiarini e montato in loco da Graziadio Antegnati III nel 1633. Lo strumento ha subito varie modifiche e aggiunte fra il XI e il XX secolo ed è stato restaurato da Armando Maccarinelli nel 1962. L'ultimo intervento è quello della ditta Mascioni (1991) che, fra le altre cose, ha ricostruito i mantici, la tastiera e la pedaliera. La consolle, del tipo a finestra, è costituita dalla tastiera di 54 tasti (con la prima ottava, da Fa (nota), senza il Fa# e il Sol#), dalla pedaliera a leggio di 18 e la registriera sulla destra.


Cappelle della navata sinistra partendo dall’ultima vicino all’ingresso


Cappella di San Michele con le statue dei santi Faustino e Giovita di Giovanni Antonio Carra



Cappella dei Santi Pietro e Teresa d'Avila 

La pala di Antonio Gandino "Gesù consegna a Pietro le chiavi" fa da ornamento all’altare e narra l'episodio descritto nel Vangelo di Matteo. Il pittore rappresenta anche Santa Teresa d'Avila in stato di estasi. L'altare è in pietra di Botticino.


Cappella di Santa Cecilia

L’apparato marmoreo è in pietra e marmi policromi e presenta un'ancona con architrave. Nel paliotto della mensa, in una cornice di marmo nero, è presente una lastra venata, fiancheggiata da due putti. La pala di Giacomo Zanetti raffigura Santa Cecilia, la patrona dei musicisti, seduta sull'organo e circondata da due vergini e dagli angeli (1720-1730 circa).


Madonna di San Luca o Madonna delle Brine

L'immagine sacra che raffigura la Madonna con Bambino è pervenuta presso la chiesa nel 1477 come dono alla città da parte del Padre Generale dell'Ordine Carmelitano Cristoforo Martignoni. La piccola immagine della Madonna è anche detta di San Luca, perché attribuita leggendariamente all'evangelista Luca, mentre la dedicazione alla Madonna delle Brine risale alla seconda metà del XIX secolo. L’altare è in stile barocco realizzato tra il 1735 e il 1737 dallo scultore veneziano Giovanni Maria Morlàiter è costituito da marmo bianco di Carrara e da breccia rosata. Le statue che sono poste sulle mensole ai lati del complesso marmoreo costituiscono il residuo dell'originale altare seicentesco.


Ascensione

Questo altare originariamente risultava dedicato a Sant'Orsola. Tra il 1760 e il 1806 la tela di Antonio Gandino, che rappresentava il martirio della santa ed era appositamente concepita per il complesso, venne trasferita presso la prima cappella della navata destra, ora dedicata ai Disciplini. Da questa proviene la pala che ora è presente su questo altare, attribuibile a Pietro Maria Bagnadore con collaborazione anche di altri artisti, tra cui lo stesso Gandino e Pietro Marone.


Cappella di Santa Maria Maddalena de' Pazzi

Questo altare  è dedicato a santa Maria Maddalena de’ Pazzi, una religiosa carmelitana vissuta tra il XVI e il XVII secolo. Una prima impostazione venne fatta da Francesco Paglia <maddalena> su commissione di Fra’ Aurelio da Manerba nel 1625; i lavori proseguirono con Domenico Corbarelli, che si occupò della mensa dell’altare verso il 1720. Al centro del paliotto si trova un medaglione in marmo, in cui è raffigurato in bassorilievo Cristo che appare a Santa Maria de' Pazzi, realizzato da Santo Calegari il Vecchio, un collaboratore della bottega dei Corbarelli che si occupò anche di altre statue per l’altare che sono andate perdute. La pala ospita un dipinto di Paolo Rossini che rappresenta uno dei momenti cardine della vita della Santa, l’istante dello scambio del suo cuore con quello di Gesù.



Il Compianto sul Cristo morto

Si tratta della rappresentazione di Gesù dopo la deposizione dalla croce, circondato da diversi personaggi che ne piangono la morte.  

Nel campo della scultura il Compianto identifica un gruppo di statue a grandezza naturale disposte a semicerchio intorno alla figura di Cristo, disteso a terra e ormai segnato dal rigor mortis, per creare un effetto teatrale e favorire l'immedesimazione da parte dei fedeli.

Il compianto sul Cristo morto posto nella cappella in capo alla navata di sinistra di questa chiesa è un gruppo di dieci statue in terracotta policroma attribuibile secondo alcuni a Guido Mazzoni, detto il Paganino oppure il Modenino, ma secondo altri a un anonimo di Modena.

Il numero tradizionale dei personaggi in area padana è di nove, ma in questo caso ne è stato inserito un decimo collocato sulla sinistra e seduto, che potrebbe essere identificato con il committente dell'opera.


 

 

 

La cappella del Miracolo di sant'Eligio, ricca di affreschi di carattere principalmente votivo databili agli stessi anni e riconducibili soprattutto alla sfera dei Bembo.



Cappelle della navata destra partendo dal primo altare dopo quello dell'Altare Maggiore 


La cappella  oggi adibita a sagrestia, sono visibili lacerti di affresco di scuola bresciana.


Cappella di Sant'Angelo Carmelitano


Cappella di Sant'Alberto da Trapani


Cappella dei Santi Innocenti


Cappella Averoldi

È l'unica cappella originale del XV secolo. Presenta una volta a crociera costolonata, divisa in quattro vele, all'interno delle quali sono raffigurati i quattro evangelisti su sfondo azzurro. L'evangelista Luca è assorto nello sforzo di scrivere e sembra ripetere a voce quello che ha scritto. Matteo è quello dall'aspetto più giovanile: ha i capelli biondi e il volto sereno, indossa una tunica azzurra e con le mani sorregge un libro. La figura dell'evangelista Marco è dolce e quasi incantata; infatti appoggia il volto sulla mano. Giovanni ha un atteggiamento estatico, con gli occhi rivolti al cielo. Nei peducci sono raffigurate otto figure intere di putti, sovrastati dai simboli degli evangelisti e dai padri della Chiesa entro nicchie.

Vincenzo Foppa probabilmente terminò gli affreschi nel 1510 con l'aiuto di Paolo da Caylina il Giovane.

L'altare della cappella Averoldi è l'unico rinascimentale della chiesa: è marmoreo e richiama i sarcofagi romani nelle volute che circondano i due stemmi della famiglia. La discontinuità dell'opera fa pensare a un lavoro a più mani.

Sulla parete sinistra (nord) è la sepoltura di Giovan Pietro Averoldi. Sulla parete destra (sud) sono conservati i battenti lignei originali del portone di ingresso della chiesa.


Cappella dei Santi Egidio e Giovanni Battista


Cappella dei Disciplini

Incoronazione della Vvergine
Incoronazione della Vvergine











La Cappella Parva

Questa Cappella si trova nel cortiletto cosiddetto dei Carri, costruito sul finire del Quattrocento alle spalle dell’abside della chiesa,  probabilmente eretta con funzioni cimiteriali in questo medesimo periodo per volere dei frati. 

Un porticato precede il piccolo pronao voltato a crociera che introduce all’ambiente vero e proprio, costituito da un vano quadrangolare, coperto anch’esso da una volta a crociera, che si conclude in un abside a pianta quadrangolare. In questo ristretto spazio si svolge uno dei più interessanti cicli pittorici del rinascimento bresciano.

 

Recentemente la critica sembra concorde nell’attribuire a Ferramola la piena autografia degli affreschi, eseguiti con buona probabilità nell’ambito del secondo decennio del XVI secolo.

Nella lunetta della parete di fondo è raffigurata una Resurrezione.  Nella parte bassa è raffigurata una Sacra Conversazione – Madonna in trono col Bambino fra i santi Giovanni Evangelista e Maria Maddalena.




Nella Parete sinistra l’Apparizione di Cristo alla Madre. 

Sulla parete destra l’Apparizione di Cristo alla Maddalena